La prevenzione della morte improvvisa
nelle nuove linee guida europee
Maria Teresa La Rovere
Divisione di Cardiologia, Fondazione “S. Maugeri”, IRCCS, Istituto Scientifico di Montescano, Montescano (PV)

Nonostante i dati epidemiologici attestino, attraverso la riduzione della mortalità cardiovascolare, gli importanti progressi compiuti in ambito di prevenzione, diagnosi e trattamento delle malattie cardiovascolari, la morte cardiaca improvvisa continua a costituire un problema importante sia nella pratica clinica sia nella gestione della salute pubblica. Il contributo della morte improvvisa al totale delle morti cardiovascolari continua a rimanere, infatti, nell’ambito del 45-50%, e quasi la metà di tutti i casi di morte cardiaca improvvisa si verifica come manifestazione iniziale di malattia coronarica o altre malattie strutturali cardiache 1. Il rischio di morte cardiaca improvvisa è più elevato in soggetti di sesso maschile ed aumenta con l’età in relazione all’aumentata prevalenza di malattia coronarica. Accanto al ruolo dominante della malattia coronarica, altre patologie croniche degenerative figurano come cause frequenti di morte improvvisa nel soggetto anziano, mentre nel giovane predominano canalopatie, miocarditi e miocardiopatie.
La complessità epidemiologica, l’eterogeneità dei substrati (sia strutturali sia genetici), la molteplicità di fattori fisiologici e ambientali che interagiscono nell’ambito della fisiopatologia della morte cardiaca improvvisa, fanno sì che la prevenzione di questo evento continui a rappresentare una delle principali sfide della cardiologia moderna.
Le linee guida 2015 della Società Europea di Cardiologia (ESC) sul trattamento delle aritmie ventricolari e la prevenzione della morte improvvisa2 forniscono le raccomandazioni cliniche più recenti basate sull’evoluzione delle conoscenze. Il documento, che si articola in 14 sezioni ed è corredato da oltre 800 voci bibliografiche, riflette la vastità dell’argomento ma soddisfa anche la necessità di facile fruibilità da parte del clinico3 sia per la presenza di schemi e figure che ne facilitano e semplificano la consultazione, sia per l’attenzione posta dagli estensori a mantenere una coerenza terminologica con le linee guida esistenti. Poiché la precedente edizione delle linee guida europee risale al 20064, il nuovo documento incorpora circa 10 anni di progresso scientifico e tecnologico con aggiornamenti in merito alla diagnosi delle malattie a trasmissione genetica, alla terapia farmacologica delle aritmie ventricolari, all’uso dei nuovi dispositivi impiantabili e indossabili. Il focus del documento è tuttavia la prevenzione e, per quanto attiene ad alcuni aspetti terapeutici, le nuove linee guida si coniugano con altri documenti di consenso più specificamente orientati alla gestione del paziente aritmico (Tabella 1).



ANALISI DELLE CAUSE DI MORTE IMPROVVISA INATTESA
La malattia coronarica rimane la causa più frequente di morte cardiaca improvvisa in particolare nel soggetto adulto con età >35 anni. Nel soggetto giovane invece la morte improvvisa sottende spesso una patologia aritmogena con caratteristiche di familiarità. Una precisa conoscenza della patologia di base è pertanto indispensabile in termini di prevenzione per gli altri familiari potenzialmente a rischio. Il riscontro autoptico è il momento diagnostico fondamentale nei casi di morte improvvisa, in particolare se inattesa. Malgrado ciò, la frequenza dei riscontri diagnostici è in genere piuttosto bassa, con un’ampia variabilità fra le differenti nazioni 1.
Le nuove linee guida ESC introducono una raccomandazione di classe I (livello di evidenza C) per l’esecuzione di un riscontro autoptico che risponda a specifici standard diagnostico-scientifici in tutti i soggetti vittima di morte improvvisa. Una novità è rappresentata dalla raccomandazione (in classe IIa) che l’esame autoptico debba comprendere la raccolta di campioni biologici per l’analisi del DNA. In particolare in relazione alla morte improvvisa giovanile, l’analisi del DNA costituisce la base imprescindibile per l’avvio dello screening familiare secondo specifici protocolli diagnostici. Citando i dati riportati dalle stesse linee guida, l’autopsia “molecolare” in aggiunta all’autopsia standard può consentire la diagnosi di canalopatie ereditarie che possono spiegare il 15-25% dei casi di morte improvvisa aritmica. Una ragione in più perché il cardiologo clinico richieda l’autopsia molecolare è quella che, senza di essa, diventa quasi impossibile identificare i familiari con genotipo positivo e fenotipo negativo (i portatori silenti), e proteggerli, quando necessario, dal rischio di aritmie fatali.
LA PREVISIONE DEL RISCHIO DI MORTE IMPROVVISA
Di tutte le sfide insite nella problematica della morte improvvisa, la previsione del rischio rappresenta senz’altro il cimento maggiore, efficacemente definito nelle nuove linee guida come la pietra filosofale dell’aritmologia. Il classico paradigma interpretativo, fondato sulla presenza di un substrato suscettibile che interagisce con molteplici trigger funzionali, trova enormi difficoltà applicative nella definizione del rischio individuale, sia perché esistono ancora molte carenze conoscitive sia per la impossibilità di implementare strategie di screening a livello della popolazione generale. Basti ricordare che la maggior parte degli eventi di morte improvvisa si verifica in assenza di una cardiopatia clinicamente riconosciuta in fasce di popolazione a basso rischio e, ancora, che i tradizionali fattori di rischio non discriminano i soggetti in cui il complicarsi di una placca vulnerabile possa esitare in un evento fatale o non fatale. Esiste un ruolo emergente della genetica nell’identificare il rischio di morte cardiaca improvvisa. In aggiunta allo specifico contributo nell’ambito di aritmie e malattie strutturali ereditarie, il substrato genetico può modulare il rischio di morte improvvisa anche nell’ambito delle cardiopatie acquisite complesse interagendo con un miocardio alterato o ischemico, o nel contesto di alterazioni elettrolitiche o esposizione a farmaci, come dimostrato dalla recente evidenza che quasi il 30% dei soggetti con QT lungo da farmaci è portatore di mutazioni-malattia per la sindrome del QT lungo 5. Numerosi altri fattori complicano la stratificazione del rischio di morte improvvisa in quelle fasce di popolazione già ad elevato rischio epidemiologico per la presenza di una cardiopatia strutturale associata o meno a scompenso cardiaco. Fra questi, soprattutto in funzione di un successivo trattamento e del suo rapporto costo/beneficio, la necessità di categorizzare un rischio che spesso non può essere ricondotto ad una semplice definizione statico-dicotomica presenza/assenza, essendo al contrario una variabile dinamica la cui valenza può variare nel tempo in relazione a modificazioni del substrato stesso, dei fattori modulanti, della presenza di rischi competitivi, ecc. 6.
In questa sezione, il documento discute i principi generali della predizione del rischio di morte improvvisa e della sua prevenzione nei differenti contesti clinici e definisce il ruolo di differenti metodologie diagnostiche, fra cui lo screening genetico, nella valutazione di soggetti con aritmie ventricolari note o sospette.
LA VALUTAZIONE DIAGNOSTICA
In ambito di aritmie su base genetica, accanto all’approccio diagnostico per i familiari dei soggetti vittima di morte improvvisa inattesa (attualmente applicato solo nel 40% dei casi), gli estensori delle linee guida propongono una ridefinizione dei criteri diagnostici per la sindrome del QT lungo. In particolare, un valore di QTc ≥480 ms se confermato in più ECG a 12 derivazioni, o un valore >3 punti dello score di rischio, sarebbe diagnostico in soggetti asintomatici e senza storia familiare, mentre un valore di QTc ≥460 ms viene considerato diagnostico se associato ad un episodio sincopale inspiegato. Questo può avere importanti implicazioni pratiche considerando l’alto livello di fallibilità dei software automatici di refertazione implementati nella quasi totalità degli elettrocardiografi. Non vengono esplicitate le motivazioni per cui le attuali linee guida si siano scostate dai criteri diagnostici più conservativi (>500 ms nei soggetti asintomatici o 3.5 punti dello score diagnostico) espressi nel recente Expert Consensus Statement delle Società HRS, EHRA, APHRS 7. Sarà da valutare l’impatto di questo criterio diagnostico più liberale sul numero di sospetti diagnostici di sindrome del QT lungo, soprattutto per quanto riguarda lo screening ECG in giovani sportivi. Per la sindrome di Brugada e le altre forme di aritmie ereditarie si confermano invece i criteri del 20137.
Alcune novità devono essere segnalate in merito alla valutazione strumentale del paziente aritmico con il cambio di classe/forza della raccomandazione di alcune metodiche diagnostiche. Fra queste, la ricerca di potenziali tardivi (espressione di anomalie della conduzione che possono facilitare tachiaritmie da rientro), tramite l’ECG signal-averaged, riceve nel nuovo documento una indicazione di classe I B (II B nel precedente documento) per la diagnosi differenziale di cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro. Modifiche alla classe/forza delle raccomandazioni all’uso di alcune metodiche strumentali sono state introdotte anche per quanto attiene alla stratificazione prognostica. Lo studio elettrofisiologico non viene raccomandato (classe III) nello screening dei pazienti con cardiomiopatia ipertrofica (rispetto ad una precedente classe IIb), e – come sempre – nei pazienti con sindromi aritmiche ereditarie (QT lungo e corto, tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica [CPVT]). Per la sindrome di Brugada la sua applicazione continua ad essere dibattuta e controversa.
LA STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO
In termini di stratificazione del rischio, le linee guida segnalano come questa rimanga totalmente insoddisfacente sia nell’ambito della popolazione generale, che dei soggetti con cardiopatia strutturale e riconoscono la necessità urgente di valutare nuovi approcci metodologici. Sebbene la mancanza di nuovi dati derivanti da studi randomizzati controllati non modifichi l’impianto generale della stratificazione del rischio, in particolare in merito alla selezione dei pazienti candidati all’impianto di defibrillatore in prevenzione primaria, alcuni punti meritano di essere sottolineati e commentati.
Il primo riguarda la definizione della tempistica per la valutazione della frazione di eiezione nel post-infarto recente. Accanto alla valutazione della frazione di eiezione in fase pre-dimissione, le linee guida introducono – con una raccomandazione di classe I – una rivalutazione della funzione ventricolare sinistra a 6-12 settimane dall’evento acuto o da procedure di rivascolarizzazione. Questa raccomandazione, che identifica la necessità di un follow-up strutturato per tutti i pazienti con infarto miocardico/rivascolarizzazione recente e disfunzione ventricolare sinistra, trova ampia sintonia nella nostra realtà clinica 8.
Il secondo attiene al ruolo di altre metodiche strumentali per l’indicazione all’impianto del defibrillatore. Le linee guida essenzialmente non riconoscono alcuna utilità alla stratificazione non invasiva basata sulle misure derivate dall’elettrocardiografia (quali alternanza dell’onda T, variabilità della frequenza cardiaca, sensibilità barocettiva o turbolenza della frequenza cardiaca), in particolare nel contesto della cardiopatia ischemica. Mantiene invece la sua utilità clinica lo studio elettrofisiologico: dati recenti che mostrano un basso rischio di morte improvvisa in soggetti con infarto miocardico e disfunzione ventricolare sinistra che siano risultati non inducibili per tachicardia ventricolare monomorfa 9, rivalutano il potere predittivo negativo della metodica. Le linee guida non ne modificano l’attuale classe di raccomandazione (IIb), tuttavia propongono la necessità di valutare in studi randomizzati la fattibilità di una stratificazione invasiva mediante studio elettrofisiologico. Vale la pena di ricordare comunque che, accanto allo studio elettrofisiologico, anche la stratificazione non invasiva è ancora oggetto di ricerca attiva5,10. Innanzitutto nei prossimi anni dovrà essere meglio definito il ruolo predittivo incrementale dell’imaging cardiaco verso la suscettibilità aritmica sia in relazione alla valutazione e quantificazione della fibrosi miocardica mediante risonanza magnetica cardiaca con studio della captazione tardiva del gadolinio11,12, sia in relazione allo studio dell’innervazione cardiaca mediante I-123-metaiodobenzilguanidina (MIBG)13. Per quanto attiene agli altri indici non invasivi, se difficilmente potranno essere eseguiti in futuro altri studi randomizzati in pazienti con funzione ventricolare sinistra severamente depressa, sono attualmente in corso studi in pazienti con frazione di eiezione moderatamente depressa (Efficacy of Implantable Defibrillator Therapy After a Myocardial Infarction, REFINE-ICD, ClinicalTrials.gov ID: NCT00673842) o preservata (Risk Stratification in Patients with Preserved Ejection Fraction, PRESERVE-EF, ClinicalTrials.gov ID: NCT02124018).
Un ultimo commento alle linee guida ESC in tema di stratificazione del rischio riguarda la mancanza di riferimenti per la prassi clinica rispetto ad alcuni enunciati generici delle raccomandazioni. In presenza di scompenso cardiaco sintomatico, l’impianto di defibrillatore viene raccomandato “in presenza di un’aspettativa di vita di almeno 1 anno in buone condizioni funzionali”. Nel 2013, un documento di consenso italiano, congiuntamente stilato da ANMCO, SIC e AIAC14, evidenziava come tale raccomandazione fosse poco circonstanziata, creando una serie di difficoltà interpretative nel percorso di selezione-impianto dei pazienti candidati al defibrillatore. Le attuali linee guida, pur sottolineando che tutti gli schemi di trattamento proposti dovrebbero essere adattati in considerazione delle comorbilità, dell’aspettativa di vita e dell’impatto sulla qualità di vita, rimangono tuttavia generiche. A parte alcune considerazioni in merito al ruolo dell’età che di per sé non deve precludere l’indicazione all’impianto, non offrono argomenti critici e suggerimenti pratici in relazione al peso delle comorbilità cardiache ed extracardiache e alla definizione/quantificazione dell’aspettativa di vita. In particolare, le linee guida non discutono la possibilità di utilizzare “praticamente” i risultati di due analisi post-hoc degli stessi studi randomizzati su cui si fondano le raccomandazioni, analisi che identificavano quei gruppi di pazienti che non ricevevano alcun vantaggio dal defibrillatore perché a prevalente rischio di morte non aritmica15,16. Allo stesso modo non viene dato alcun suggerimento in merito all’uso di score clinici multiparametrici la cui utilità è ormai largamente consolidata17.
La problematica della stratificazione del rischio di morte improvvisa per l’indicazione all’impianto di defibrillatore in prevenzione primaria, e la possibile utilità di una valutazione poliparametrica sono state discusse in un recente position paper dell’ANMCO18 al quale si rimanda.
ASPETTI TERAPEUTICI
La validità del trattamento ottimale della patologia di base (se presente) e dei suoi fattori di rischio, come primo momento della prevenzione della morte improvvisa, viene sostenuto nel corso dell’intero documento in relazione alle diverse condizioni cliniche analizzate come indicazione di classe I. A questo si contrappone l’assenza di studi randomizzati che dimostrino l’efficacia dei farmaci antiaritmici (ad eccezione dei betabloccanti) nel trattamento di aritmie pericolose per la vita o nella prevenzione primaria della morte improvvisa. Per tale motivo le linee guida introducono fra le “raccomandazioni emergenti” l’uso della flecainide, in aggiunta ai betabloccanti, nei pazienti con CPVT (classe IIa, livello di evidenza C). Sempre nell’ambito della CPVT, vale la pena di segnalare anche dati recenti sul ruolo della denervazione cardiaca simpatica di sinistra che non sono incorporati nel documento, per lo scarso intervallo di tempo fra la loro pubblicazione e quella delle linee guida 19.
Le linee guida codificano gli aspetti innovativi della terapia con dispositivi e delle procedure interventistiche.
Un primo aspetto innovativo riguarda la formulazione di raccomandazioni relative al defibrillatore sottocutaneo e al defibrillatore indossabile. Il defibrillatore sottocutaneo, le cui evidenze in tema di efficacia e sicurezza sono supportate da 9 studi clinici che includono 1200 pazienti, entra nelle linee guida – con una raccomandazione di classe IIa – come alternativa al defibrillatore transvenoso quando non vi siano indicazioni concomitanti al pacing o alla resincronizzazione, e con una raccomandazione di classe IIb in presenza di accesso venoso difficile, dopo un espianto settico o in previsione di una terapia a lungo termine nei soggetti giovani. Una indicazione di classe IIb viene fornita anche per il defibrillatore indossabile per il quale l’evidenza non si fonda ancora su trial randomizzati, ma su una serie di casi clinici e registri. Le raccomandazioni ora codificate riguardano una serie di condizioni caratterizzate da una prevedibile “transitorietà” dell’aumentato rischio aritmico, fra le quali il tempo di recupero della funzione ventricolare sinistra nel post-infarto precoce o in corso di miocardite, o il tempo di atresia del trapianto o dell’impianto transvenoso.
Un secondo aspetto riguarda il ruolo sempre più rilevante dell’ablazione transcatetere sia come trattamento definitivo di molte forme aritmiche sia come trattamento complementare in situazioni ad elevata instabilità elettrica. Le nuove linee guida innalzano il livello di evidenza della raccomandazione di classe I all’uso dell’ablazione transcatetere per il trattamento della tachicardia ventricolare monomorfa incessante o in presenza di tempesta aritmica nel contesto di miocardio cicatriziale. Inoltre, in relazione all’impatto di shock ripetuti sulla quantità e qualità della vita, in soggetti con cardiopatia ischemica e portatori di defibrillatore, le linee guida suggeriscono di considerare la possibilità di un intervento ablativo già a seguito di un singolo episodio di tachicardia ventricolare sostenuta con una raccomandazione di classe IIa. Le problematiche psicologiche legate all’impianto del defibrillatore (e quelle relative al fine vita dei soggetti portatori) sono ampiamente discusse nel documento con raccomandazioni in merito alla necessità di una valutazione psicologica e al trattamento dello stress relato a shock inappropriati.
Infine, le linee guida dedicano un’ampia discussione al ruolo della terapia di resincronizzazione nella prevenzione primaria della morte improvvisa, alla relazione fra morfologia del QRS (blocco di branca sinistra/non blocco di branca sinistra) ed efficacia della risposta, e alle discrepanze esistenti con altri documenti in relazione alla durata del QRS. Il documento attuale configura una raccomandazione di classe I alla terapia di resincronizzazione cardiaca in presenza di frazione di eiezione ≤35%, blocco di branca sinistra e durata del QRS >120 ms (livello di evidenza A per durata QRS >150 ms, livello di evidenza B per durata QRS di 120-150 ms) per i pazienti in ritmo sinusale e classe NYHA avanzata (III/IV).
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Le linee guida sono diventate uno strumento imprescindibile per la nostra pratica clinica. Lo sviluppo di linee guida valide, utili e credibili è un processo sempre più sofisticato sotto molteplici aspetti nell’ambito della valutazione delle evidenze, nel distinguere tra risultati a breve e lungo termine, nel considerare il punto di vista del paziente, e nello sviluppo di nuovi strumenti per misurare i diversi tipi di risultati. Per la vastità e la complessità dell’argomento che affrontano, queste linee guida sono pertanto un’opera imponente che, accanto alla revisione della migliore evidenza scientifica disponibile al momento della stesura delle stesse, contempla anche le lacune della nostra attuale conoscenza e gli ambiti della ricerca futura. Come spesso sottolineato nel documento, le raccomandazioni offerte non sostituiscono il giudizio clinico e la responsabilità individuale del medico, ma offrono un punto di riferimento nei confronti del quale valutare e discutere la decisione più appropriata per il singolo paziente.
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