Potenzialità e limiti delle nuove strategie percutanee per il trattamento dell’angina refrattaria

Daniela Benedetto1, Pierfrancesco Agostoni2

1U.O. Cardiologia Interventistica, Ospedale Civile, Mirano (VE)

2Interventional Cardiology Unit, St. Antonius Hospital, Nieuwegein, The Netherlands

Il trattamento dell’angina refrattaria rimane a tutt’oggi di difficile gestione nella pratica clinica dei pazienti ischemici non più rivascolarizzabili e, nonostante i molteplici studi effettuati e le numerose opzioni terapeutiche proposte, non si è riusciti a definire un trattamento specifico efficace.

L’interessante articolo di Giannini et al.1 in questo Supplemento del Giornale si focalizza su una nuova tecnica percutanea per trattare l’angina refrattaria, mirata a ridurre l’efflusso sanguigno dal miocardio attraverso il seno coronarico mediante un dispositivo dedicato, il Reducer.

Anche se vi sono alcune evidenze sperimentali che suggeriscono che ostruendo il seno coronarico si può proteggere il miocardio dall’ischemia, questo approccio non è stato confermato da ampi studi prospettici. Tra i vari approcci, l’alterazione del ritorno venoso coronarico per migliorare la perfusione del miocardio ischemico è stata studiata con una varietà di metodi tra cui l’occlusione parziale o quella completa del seno coronarico, con modalità fissa o dinamica, con o senza retroperfusione, e mediante studi pre-clinici e clinici2.

Il dispositivo Reducer per il trattamento dell’angina refrattaria ha ottenuto il marchio CE per il suo utilizzo in Europa dopo essere stato valutato nel trial COSIRA3, un studio prospettico randomizzato in doppio cieco in cui pazienti con angina refrattaria sono stati randomizzati a trattamento con Reducer contrapposto a placebo. L’endpoint primario era rappresentato dal miglioramento di almeno due classi funzionali di angina (Canadian Cardiovascular Society, CCS) a 6 mesi. Il trial ha delineato una popolazione ben definita e ha tentato di mantenere i pazienti ed i medici che valutavano la classe funzionale anginosa ignari dell’assegnazione ad uno dei due gruppi dello studio.

In totale 26 dei 104 pazienti inclusi hanno avuto un miglioramento di 2 classi funzionali CCS: 18/52 (35%) nel gruppo di trattamento con il Reducer e 8/52 (15%) nel gruppo controllo (p=0.02). Quindi l’endpoint primario dello studio è stato raggiunto. Inoltre nel gruppo Reducer il 71% dei pazienti (37/52) ha mostrato un miglioramento sintomatologico di almeno una classe funzionale CCS. È importante, però, sottolineare che il numero totale di pazienti con un incremento della classe di angina non risulta sufficiente per una stima affidabile degli effetti del trattamento, il che sottolinea la difficoltà di studi come questo, con piccoli numeri di pazienti, di fornire informazioni definitive.

L’utilizzo del Reducer ha documentato un significativo miglioramento della qualità di vita, valutata con l’uso del Seattle Angina Questionnaire, nei pazienti con angina refrattaria. Questo aspetto contrasta tuttavia con l’evidenza che la tolleranza all’esercizio dei questi pazienti e la cinetica parietale durante stress non hanno evidenziato un miglioramento significativo. Gli autori hanno commentato che in realtà lo studio non aveva come obiettivo di dimostrare un miglioramento di questi outcome ma esclusivamente la sintomatologia anginosa, e nonostante ci fossero tendenze favorevoli non si sono documentate significatività statistiche.

Ulteriori registri indipendenti hanno confermato i dati del COSIRA, mostrando in circa il 70-75% dei pazienti un miglioramento della sintomatologia anginosa per lo meno di una classe funzionale CCS4,5.

L’aspetto più dibattuto dell’utilizzo del Reducer è sicuramente legato al suo meccanismo d’azione4: nonostante gli studi effettuati, che hanno permesso di ottenere il marchio CE per il trattamento, non esiste un meccanismo universalmente dimostrato sull’effetto anti-anginoso del Reducer. Sono state finora proposte due teorie. La prima presuppone che il Reducer stimoli un’azione angiogenetica miocardica legata all’incremento delle pressioni venose. La seconda teoria invece prevede che il Reducer faciliti una ridistribuzione del flusso coronarico dalla zona subepicardica del miocardio alla zona subendocardica, notoriamente più prona alla sofferenza ischemica cronica. Tuttavia, a tutt’oggi, nessuna delle due teorie è stata confermata da studi pre-clinici e questo potrebbe generare delle perplessità nella comunità scientifica sull’utilizzo del Reducer nella pratica clinica quotidiana.

Un altro aspetto particolarmente importante riguarda la soggettività della riduzione dell’angina, o meglio la possibilità del cosiddetto effetto placebo. Infatti, il trial COSIRA ha documentato che, nonostante una controllata randomizzazione, il 15% dei pazienti nel gruppo di controllo ha avuto un miglioramento sostanziale del quadro anginoso; questo risultato potrebbe essere spiegato con l’ipotesi che i pazienti possono credere di avere ricevuto il trattamento attivo ma ciò può generale plausibili domande sulla validità esterna dell’outcome finale6. Studi futuri dovrebbero focalizzarsi su endpoint più obiettivi, per esempio il tempo di durata dello sforzo fisico misurato con ergometria.

È importante evidenziare che l’ischemia inducibile efficacemente trattata dal Reducer è attualmente dimostrata esclusivamente nel territorio di distribuzione della coronaria sinistra; questo dispositivo rappresenta quindi un’opzione di trattamento attualmente valida solo per un sottogruppo dei pazienti affetti da angina refrattaria. Tuttavia nuove analisi sono in corso per capire se il Reducer possa essere efficace anche in pazienti con ischemia causata dalla sola coronaria destra.

Poiché il Reducer è un dispositivo da poco fruibile per la popolazione generale sono state espresse alcune perplessità sui risultati a lungo termine; in effetti i dati di follow-up a più di 1 anno per i pazienti in cui viene praticata una stenosi fissa del seno coronarico sono scarsi (per ora comunque non si notano segnali allarmanti e il beneficio del dispositivo sembra persistere anche a lungo termine) ed un altro aspetto particolarmente dibattuto riguarda le possibili interazioni con altri trattamenti, in particolare nei pazienti che potrebbero necessitare di un dispositivo di resincronizzazione miocardica.

In conclusione, il Reducer è un dispositivo con interessanti potenzialità, che ha documentato significativi miglioramenti nella popolazione studiata in relazione alla riduzione dell’angina e al miglioramento della qualità di vita. Rimane da confermare ulteriormente l’efficacia del suo trattamento mediante studi successivi a più ampio spettro, per rendere questo trattamento un importante ausilio per migliorare la qualità di vita dei pazienti con angina refrattaria.

BIBLIOGRAFIA

1. Giannini F, Aurelio A, Chieffo A. Impianto del dispositivo Reducer in seno coronarico: un nuovo trattamento per l’angina refrattaria. G Ital Cardiol 2016;17(10 Suppl 1):3S-9S.

2. Syeda B, Schukro C, Heinze G, et al. The salvage potential of coronary sinus interventions: meta-analysis and pathophysiologic consequences. J Thorac Cardiovasc Surg 2004;127:1703-12.

3. Verheye S, Jolicoeur EM, Behan MW, et al. Efficacy of a device to narrow the coronary sinus in refractory angina. N Engl J Med 2015;372:519-27.

4. Konigstein M, Meyten N, Verheye S, et al. Transcatheter treatment for refractory angina with the coronary sinus reducer. EuroIntervention 2014;9:1158-64.

5. Abawi M, Nijhoff F, Stella PR, et al. Safety and efficacy of a device to narrow the coronary sinus for the treatment of refractory angina: a single-centre real-world experience. Neth Heart J 2016;24:544-51.

6. Granger CB, Gersh BJ. Potential relief for refractory angina. N Engl J Med 2015;372:566-7.