I pazienti con sindrome coronarica acuta
senza sopraslivellamento persistente del tratto ST
non sottoposti a rivascolarizzazione coronarica:
una popolazione sottotrattata

Alberto Menozzi1, Leonardo De Luca2, Zoran Olivari3, Roberta Rossini4, Marco Ferlini5, Daniela Lina1,
Maurizio Giuseppe Abrignani6, Piera Capranzano7, Nazario Carrabba8, Marcello Galvani9,
Alfredo Marchese10, Gianfranco Mazzotta11, Luciano Moretti12, Nicola Signore13, Massimo Uguccioni14,
Stefano De Servi5

1U.O. Cardiologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma

2Divisione di Cardiologia, Ospedale San Giovanni Evangelista, Tivoli (RM)

3U.O. Cardiologia, Ospedale Ca’ Foncello, Treviso

4U.O. Cardiologia, ASST Papa Giovanni XXIII, Bergamo

5S.C. Cardiologia, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia

6U.O Cardiologia, Ospedale S. Antonio Abate, Trapani

7U.O. Cardiologia, Ospedale Ferrarotto, Catania

8U.O. Cardiologia, AOU Careggi, Firenze

9U.O. Cardiologia, Ospedale Morgagni-Pierantoni, Forlì

10U.O. Cardiologia Interventistica, Anthea Hospital, Bari

11U.O. Cardiologia, Ospedale S. Andrea, La Spezia

12U.O. Cardiologia, Ospedale Mazzoni, Ascoli Piceno

13Cardiologia Ospedaliera, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Bari

14U.O. Cardiologia 1, A.O. San Camillo-Forlanini, Roma

Non-ST-elevation acute coronary syndromes (NSTE-ACS) represent one of the most common clinical presentations of ischemic heart disease. Patients with NSTE-ACS are a heterogeneous population, with different clinical features and prognosis. A significant proportion of this population is medically managed, without any revascularization. In the Italian EYESHOT and French FAST-MI registries, patients managed with a conservative strategy were 40% and 35%, respectively.

NSTE-ACS patients not undergoing coronary revascularization are at higher risk of adverse cardiovascular events and have a worse prognosis, including short- and long-term mortality, compared with those receiving revascularization. Patients with NSTE-ACS medically managed consist of three different subgroups: those not undergoing coronary angiography, those receiving coronary angiography and without significant coronary artery disease, and those with significant coronary artery disease at angiography but not receiving revascularization.

Patients presenting with NSTE-ACS for whom a conservative strategy without coronary angiography is planned should be selected very carefully and coronary angiography should not be denied because of the lack of on-site cath-lab facilities. In addition, advanced age alone, in the absence of severe comorbidities or frailty, should not be considered as a reason for denying coronary angiography and, in general, optimal treatment.

Given that evidence-based data are lacking, a careful balance between benefits and risks is needed in the decision to perform or not coronary angiography and/or revascularization in patients with important comorbidities, or frailty, or advanced age. In this decisional process, it should be also taken into consideration the role of coronary anatomy in risk stratification and treatment guidance.

NSTE-ACS patients managed without revascularization less frequently receive guideline-recommended pharmacological treatment. Dual antiplatelet therapy is recommended for 12 months also in medically managed patients, after careful balance of ischemic and bleeding risk. Indeed, in this group of patients it is mandatory to optimize pharmacological treatment, including antiplatelet therapy, in order to improve clinical outcome. In NSTE-ACS not undergoing revascularization, the proportion of patients discharged with dual antiplatelet therapy should be increased in comparison to current clinical practice, and the use of ticagrelor instead of clopidogrel should be considered in selected patients.

Key words. Acute coronary syndrome; Antiplatelet therapy; Conservative strategy; Medical therapy; Revascularization.

CHIAVE DI LETTURA

Ragionevoli certezze. Esiste una percentuale variabile ma consistente di pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto (SCA-NSTE) che non riceve rivascolarizzazione coronarica, o perché non viene sottoposta a coronarografia, o perché dopo coronarografia non vi è indicazione ad angioplastica coronarica o bypass. Tali pazienti trattati con la sola terapia medica sono a più alto rischio di eventi avversi cardiovascolari ed hanno prognosi peggiore, anche in termini di mortalità, sia a breve che a lungo termine. Tuttavia, la scelta di una strategia conservativa può essere appropriata sulla base di alcune caratteristiche cliniche, quali l’età biologica, il rischio emorragico, la presenza di fragilità o di gravi comorbilità. Inoltre, i pazienti sottoposti a coronarografia con evidenza di malattia coronarica subcritica o non passibile di rivascolarizzazione coronarica vengono gestiti con la sola terapia medica. La duplice terapia antiaggregante è indicata nella fase acuta e a lungo termine nei pazienti con SCA-NSTE anche quando trattati con la sola terapia medica. I farmaci utilizzabili in associazione all’aspirina sono clopidogrel e ticagrelor. I dati della letteratura dimostrano che questa popolazione è frequentemente sottotrattata dal punto di vista farmacologico, in particolare per quanto riguarda la terapia antiaggregante; vi è quindi la necessità di implementare la corretta gestione di questi pazienti, inclusa la scelta di un trattamento antitrombotico adeguato, dopo attento bilanciamento del rischio ischemico ed emorragico.

Aspetti controversi. Esiste una quota di pazienti con SCA-NSTE poco o nulla rappresentata negli studi clinici, ma crescente nella pratica clinica, tra i quali gli anziani e i grandi anziani, i pazienti fragili e quelli con gravi comorbilità, per i quali la gestione clinica non può essere pertanto guidata sulla base della medicina basata sull’evidenza ma piuttosto su quanto si ritiene ragionevole. In alcuni di questi pazienti è verosimile che la scelta di una strategia conservativa sia corretta ed adeguata, nonostante l’importanza del ruolo dell’anatomia coronarica anche come elemento di stratificazione del rischio clinico del paziente. La scelta di una strategia conservativa deve in ogni modo essere ben ponderata considerando il quadro clinico nella sua globalità; l’età anagrafica di per sé non è un criterio sufficiente. In merito alla terapia antitrombotica considerato l’alto rischio di eventi ischemici in questi pazienti, la terapia antiaggregante rappresenta un elemento fondamentale al fine di migliorarne l’outcome clinico; tuttavia, data l’eterogeneità di questa popolazione non è possibile identificare un’unica strategia da applicarsi a tutti i pazienti con la conseguente necessità di modulare la potenza della terapia antitrombotica sulla base del bilancio tra il rischio ischemico ed emorragico nel singolo paziente.

Prospettive. Considerata la sostanziale assenza di dati basati sull’evidenza su questi “pazienti difficili”, sarebbe altamente raccomandabile da parte delle Società Scientifiche l’impegno a raccogliere dati e disegnare studi ad hoc al fine di fornire informazioni in grado di guidare il trattamento di queste categorie di pazienti che sono in grande crescita e che rappresenteranno nel futuro una percentuale sempre più rilevante della popolazione dei pazienti con sindrome coronarica acuta. Tali dati consentirebbero di identificare più correttamente i pazienti che verosimilmente non traggono benefico da una strategia invasiva e nei quali la gestione conservativa rappresenta il miglior compromesso possibile.

INTRODUZIONE

Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte nei paesi industrializzati e le sindromi coronariche acute senza sopraslivellamento persistente del tratto ST (SCA-NSTE) rappresentano uno dei principali quadri clinici della cardiopatia ischemica dal punto di vista epidemiologico1.

La disponibilità dei marcatori di miocardiocitonecrosi ad elevata sensibilità ha determinato un significativo incremento della diagnosi di SCA-NSTE ed oggi questa popolazione comprende pazienti con caratteristiche cliniche e prognostiche molto eterogenee.

Nonostante i significativi progressi nel trattamento delle sindromi coronariche acute (SCA) ottenuti negli ultimi decenni, esistono ulteriori spazi per migliorare la prognosi dei pazienti con SCA-NSTE, sia a breve sia a lungo termine, in quanto le recidive di eventi restano frequenti e la mortalità a medio-lungo termine è peggiore rispetto a quella dei pazienti con infarto acuto con sopraslivellamento del tratto ST2.

Nei pazienti con SCA-NSTE, la rivascolarizzazione coronarica determina un significativo miglioramento dell’outcome clinico rispetto alla strategia conservativa, in termini di riduzione di infarto miocardico e di mortalità. Le attuali linee guida raccomandano nei pazienti a rischio elevato ed intermedio l’utilizzo di una strategia invasiva precoce, che prevede la routinaria esecuzione dell’esame coronarografico entro 24-72h dalla diagnosi, seguito dalla rivascolarizzazione coronarica quando opportuna3.

Nonostante queste evidenze e le raccomandazioni delle linee guida, nel mondo reale una proporzione significativa di pazienti con SCA-NSTE è trattata con la sola terapia medica, vale a dire senza rivascolarizzazione coronarica, e peraltro questi sono i pazienti a più alto rischio di eventi4.

EPIDEMIOLOGIA

Una quota significativa di pazienti con SCA-NSTE non viene rivascolarizzata: una parte di questi non viene sottoposta nemmeno a coronarografia mentre per altri l’indicazione alla sola terapia medica viene decisa dopo la coronarografia (Tabella 1)5-9.

Nel registro italiano EYESHOT e nel registro francese FAST-MI la percentuale di pazienti con SCA-NSTE trattati con sola terapia medica è stata pari a circa il 40% e il 35% rispettivamente8,9.

Negli ultimi anni, diversi fattori, tra cui la maggior consapevolezza del beneficio apportato dalla rivascolarizzazione coronarica, hanno determinato un significativo aumento dei pazienti con SCA-NSTE sottoposti a strategia invasiva, e quindi a coronarografia. Nella popolazione del registro GRACE pubblicato nel 2006, sino al 40% dei pazienti non riceveva l’esame coronarografico10; nel più recente FAST-MI tale percentuale è scesa al 10% e nel recentissimo EYESHOT è stata circa del 13%8,9. Lo stesso andamento emerge dai dati dei trial randomizzati. Nello studio CURE, pubblicato nel 2001, il 62.5% dei pazienti è stato trattato con la sola terapia medica, il 21% è stato sottoposto ad angioplastica coronarica e il 16.5% è andato incontro a bypass aortocoronarico11. Nel più recente studio PLATO, pubblicato nel 2009, il 26% dei pazienti è stato trattato con la sola terapia medica, il 64% è stato sottoposto ad angioplastica coronarica e il 10% a bypass aortocoronarico12.

I fattori che condizionano la decisione di sottoporre o meno un paziente a strategia invasiva sono molteplici e comprendono fattori clinici, demografici, istituzionali ed economici5.




RISCHIO ISCHEMICO ED EMORRAGICO DEI PAZIENTI NON RIVASCOLARIZZATI

I pazienti con SCA-NSTE trattati con la sola terapia medica sono a più alto rischio di eventi cardiovascolari avversi e hanno una prognosi peggiore, anche in termini di mortalità, sia a breve sia a lungo termine, rispetto ai pazienti sottoposti a rivascolarizzazione coronarica3,5.

Nella sottoanalisi del trial ICTUS, in cui sono stati confrontati i pazienti con SCA-NSTE effettivamente rivascolarizzati e quelli trattati con la sola terapia medica (sia che fossero stati randomizzati ad una strategia invasiva precoce oppure selettiva), si è evidenziato che la rivascolarizzazione durante il ricovero per l’evento indice si associa ad una riduzione della mortalità di circa il 40% a 4 anni e ad una riduzione di circa il 50% del rischio di morte ed infarto miocardico a 3 anni13. Anche gli studi osservazionali confermano questa associazione. L’analisi retrospettiva dello studio GUSTO IV ha documentato una riduzione di mortalità del 50% ad 1 anno nei pazienti rivascolarizzati entro 30 giorni dal ricovero rispetto a quelli non rivascolarizzati14. Una riduzione simile di mortalità è stata rilevata anche in un registro svedese coinvolgente più di 20 000 pazienti15. Inoltre in uno studio di confronto fra le due strategie in una popolazione anziana di pazienti con SCA-NSTE, la riospedalizzazione per SCA a 6 e 12 mesi è stata sostanzialmente sovrapponibile nei due gruppi, ma la mortalità a 6 mesi e a 2 anni è stata significativamente superiore nei pazienti non rivascolarizzati16.

I pazienti non rivascolarizzati che hanno prognosi peggiore, come atteso, sono quelli con il profilo di rischio più elevato (espresso mediante il GRACE risk score). A questo proposito va sottolineato che le caratteristiche cliniche associate ad un rischio particolarmente elevato di eventi ischemici, fra cui l’età avanzata, l’insufficienza renale e l’anamnesi di pregresse procedure di rivascolarizzazione si ritrovano frequentemente nei pazienti per i quali si opta per una strategia conservativa17.

Dall’analisi dei dati di letteratura si evince che esiste una relazione inversa fra l’entità del rischio clinico del paziente stratificato con il GRACE risk score e l’utilizzo di strategia invasiva in quanto tale opzione di trattamento è principalmente utilizzata nei gruppi con rischio “relativamente meno elevato”4,18-20.

I pazienti gestiti in maniera conservativa sono spesso coloro che, per caratteristiche cliniche, hanno anche un profilo di rischio emorragico elevato ed è proprio la percezione di un elevato rischio emorragico che in molti casi condiziona la scelta di questa strategia. Del resto, come noto, i fattori clinici che condizionano significativamente il rischio di eventi ischemici sono in gran parte gli stessi che conferiscono un più alto rischio emorragico ed altrettanto noto è l’impatto negativo dei sanguinamenti sulla prognosi, anche in termini di mortalità21.

Appare quindi evidente che la prognosi dei pazienti esclusi dalla strategia invasiva risente in primo luogo delle caratteristiche intrinseche dei pazienti stessi che sono mediamente più anziani, affetti da comorbilità più severe e spesso fragili. La scelta di una strategia conservativa interviene poi su questo substrato clinico condizionando ulteriormente la prognosi in maniera determinante, perché esclude dai benefici della rivascolarizzazione pazienti che potrebbero trarne beneficio. Infatti, la decisione di non eseguire l’esame coronarografico può talvolta determinare la mancata diagnosi di condizioni ad elevatissimo rischio, come ad esempio una patologia coronarica estesa o severa, ed anche influire negativamente sulla scelta della terapia farmacologica.

PAZIENTI CON SINDROME CORONARICA ACUTA SENZA SOPRASLIVELLAMENTO DEL TRATTO ST TRATTATI IN MANIERA CONSERVATIVA

La categoria dei pazienti con SCA-NSTE gestiti in maniera conservativa comprende tre gruppi eterogenei tra loro: pazienti non sottoposti a studio coronarografico, pazienti sottoposti a coronarografia con coronarie esenti da ateromasia significativa ed, infine, pazienti con coronaropatia significativa per i quali si decide di non eseguire procedure di rivascolarizzazione coronarica.

Pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST trattati in maniera conservativa senza essere sottoposti a coronarografia

Questo gruppo, seppur quantitativamente non trascurabile, rappresenta oggi una minoranza nell’ambito dei pazienti con SCA-NSTE e si caratterizza per una prognosi particolarmente sfavorevole.

Nel registro CRUSADE, infatti, si è registrata una mortalità 2 volte superiore per i pazienti con SCA-NSTE non sottoposti a coronarografia rispetto a quelli studiati con l’esame angiografico entro 48h dalla diagnosi: la mortalità intraospedaliera del primo gruppo variava dal 5.5% al 7.0% circa rispetto al 2.5% circa del secondo gruppo (indipendentemente dal fatto che dopo lo studio i pazienti andassero o meno incontro a rivascolarizzazione)22.

Analogamente, nei registri italiani BLITZ-4 ed EYESHOT, la mortalità intraospedaliera dei pazienti con SCA-NSTE non studiati con la coronarografia è risultata rispettivamente del 9% e 6.1%, circa 3-4 volte superiore rispetto a quella dei pazienti non rivascolarizzati ma sottoposti a coronarografia (pari al 2.5% e 2.1%, rispettivamente)6,23. Anche la prognosi a distanza è decisamente infausta per i pazienti trattati con strategia conservativa senza studio coronarografico, con una mortalità a 6 mesi >20% (4-5 volte superiore rispetto ai pazienti sottoposti a strategia invasiva) e una mortalità a 3 anni >50%22.

I dati di registro sopracitati sono in linea con i dati dei trial randomizzati. Nella popolazione dello studio TRILOGY ACS, che ha confrontato prasugrel e clopidogrel nei pazienti con SCA-NSTE trattati in maniera conservativa, si è evidenziata una maggiore incidenza di mortalità, reinfarto e ictus ischemico nei 30 mesi successivi all’evento acuto nei pazienti non sottoposti a coronarografia rispetto a quelli trattati conservativamente dopo coronarografia24. Questi risultati suggeriscono, seppur indirettamente, che l’esame coronarografico rappresenta verosimilmente uno strumento utile sia per completare la stratificazione del profilo di rischio del paziente con SCA-NSTE sia per guidare la scelta della strategia di trattamento, inclusa la terapia farmacologica.

Le caratteristiche cliniche che condizionano la decisione di non sottoporre il paziente a coronarografia si sovrappongono ampiamente a quelle che determinano un elevato profilo di rischio clinico. In particolare nel registro CRUSADE25 sono state principalmente l’età avanzata (in particolare >75 anni), il sesso femminile, l’insufficienza renale cronica, il diabete mellito, il concomitante o precedente scompenso cardiaco. Nel più recente registro EYESHOT sono risultate condizionanti la scelta di strategia conservativa la storia di neoplasie, l’età avanzata, il sesso femminile, la presenza di anemia o di precedente sanguinamento, l’insufficienza renale e anche l’anamnesi di pregressa malattia cardiovascolare23.

Le caratteristiche cliniche associate alla scelta di una strategia conservativa identificate nei registri sopramenzionati si confermano essere i principali determinanti di questa opzione di trattamento anche nell’ambito dei trial randomizzati come TRILOGY ACS e PLATO24,26.

Come è noto, un ulteriore fattore che condiziona la scelta di questo tipo di strategia è la presenza o meno del laboratorio di emodinamica nel Centro a cui il paziente afferisce: nel registro EYESHOT proprio la sua assenza è risultata essere il principale fattore determinante la scelta di una strategia che non prevedesse lo studio coronarografico23. Questa associazione era già stata descritta anche in passato da altri registri, incluso il registro GRACE17,27. Inoltre, una percentuale non trascurabile di ricorso alla strategia conservativa è dettata dal rifiuto del paziente di sottoporsi a coronarografia: nel registro italiano BLITZ-4 circa il 22% dei pazienti non sottoposti a coronarografia ha negato il consenso ad eseguire l’esame invasivo6.

I pazienti gestiti in maniera conservativa secondo un approccio “intention-to-treat” (vale a dire non sottoposti a studio coronarografico) sono generalmente i più gravi in termini di comorbilità e di rischio clinico globale nell’ambito dell’intera popolazione con SCA-NSTE. Tra questi vi è un’elevata percentuale di pazienti molto anziani, con comorbilità multiple e complesse e condizioni di fragilità, i quali sono raramente inclusi nei trial randomizzati e per i quali non esiste quindi un’evidenza clinica del beneficio di una strategia invasiva secondo i criteri della medicina basata sull’evidenza3. Quindi, se da un lato la popolazione dei pazienti con SCA-NSTE gestita senza esame coronarografico comprende sicuramente una quota di pazienti che non riceve l’esame coronarografico in quanto “sottotrattati”, dall’altra, la scelta di una iniziale strategia conservativa potrebbe delinearsi come corretta dal punto di vista clinico, dopo un adeguato bilanciamento dei potenziali rischi e benefici, in pazienti selezionati.

Pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST trattati in maniera conservativa dopo essere stati sottoposti a coronarografia

Registri e studi randomizzati mostrano che circa il 20-30% dei pazienti con SCA-NSTE, dopo essere stati sottoposti a studio coronarografico, non ricevono alcuna rivascolarizzazione coronarica, né percutanea né chirurgica5,17. Anche nelle casistiche più recenti in cui l’approccio clinico è più aggressivo e la quota di pazienti sottoposti a coronarografia più elevata, tale percentuale non scende al di sotto del 20%8. Analogamente, anche nella realtà italiana, la quota di pazienti con SCA-NSTE non sottoposti a rivascolarizzazione coronarica dopo coronarografia è risultata intorno al 20%, come evidenziato dal registro EYESHOT9.

È verosimile che questa percentuale di pazienti rimanga così rilevante, nonostante l’attuale maggiore propensione alle procedure di rivascolarizzazione coronarica rispetto al passato, in virtù dell’elevata sensibilità (a volte anche a scapito della specificità) con cui viene oggi posta diagnosi di SCA ed anche in relazione al fatto che molto frequentemente vengono sottoposti a coronarografia pazienti con SCA secondaria a condizioni patologiche diverse dalla malattia coronarica, cioè casi di infarto di tipo 2 (dovuto ad aritmie ad elevata frequenza o anemia), in cui il principale bersaglio terapeutico è la condizione patologica che ha determinato lo squilibrio fra domanda e apporto di ossigeno al miocardio, piuttosto che la malattia coronarica concomitante.

Scendendo nel dettaglio, la popolazione di pazienti non rivascolarizzata dopo coronarografia è abbastanza eterogenea, ma può tuttavia essere fondamentalmente suddivisa in due sottogruppi: uno che comprende quei pazienti caratterizzati dall’assenza di aterosclerosi coronarica significativa (quindi assente o giudicata subcritica), l’altro rappresentato invece da quei pazienti che pur presentando una malattia coronarica critica, non vengono comunque rivascolarizzati per scelta tecnica o clinica. Di questo secondo gruppo fanno generalmente parte pazienti con malattia estremamente severa e diffusa in cui il rapporto rischio-beneficio della rivascolarizzazione viene ritenuto sfavorevole (ad esempio pazienti con esiti di bypass aortocoronarico, pazienti con occlusioni croniche totali, o pazienti con fonti emorragipare per cui si giudica troppo elevato il rischio di sanguinamento in relazione alla necessità di duplice terapia antiaggregante in seguito all’impianto di stent).

La coesistenza di queste due popolazioni estremamente differenti, vale a dire pazienti con malattia coronarica estesa e di pazienti con malattia coronarica assente o comunque subcritica, rende conto del fatto che nel complesso questa popolazione abbia una prognosi migliore rispetto a quella dei pazienti gestiti in maniera conservativa senza studio coronarografico, ma tuttavia peggiore rispetto a quella dei pazienti rivascolarizzati. Nel registro CRUSADE la mortalità intraospedaliera dei pazienti non rivascolarizzati seppur sottoposti a coronarografia è stata del 2.5% (rispetto al 2% dei pazienti rivascolarizzati) e nel registro BLITZ-4 la mortalità a 6 mesi è stata del 5.5% (rispetto al 3.9% dei rivascolarizzati)6,22.

Pazienti con coronaropatia assente o subcritica

I pazienti con SCA-NSTE e coronarie indenni da stenosi significative sono un gruppo consistente, seppur di entità quantitativamente variabile a seconda delle casistiche analizzate. Dati di registro suggeriscono che circa il 6-12% dei pazienti rientrano in questo gruppo, mentre i dati dei trial rilevano percentuali generalmente più elevate5. In un’analisi di oltre 37 000 pazienti arruolati in studi clinici randomizzati e sottoposti a studio coronarografico, il 9.6% non aveva una patologia coronarica ostruttiva significativa28; considerando altre casistiche si passa dal 17% dello studio TRILOGY ACS al 14% dello studio CURRENT-OASIS 7, al 6% e 11% delle coorti invasiva precoce e inizialmente conservativa dello studio PLATO12,24,29 (Figura 1).

Questa tipologia di pazienti è descritta come più giovane, più frequentemente di sesso femminile, con una minor probabilità di pregressa rivascolarizzazione miocardica e spesso con un trattamento farmacologico inadeguato rispetto a quanto raccomandato dalle linee guida. Si tratta di una popolazione a più basso rischio di eventi cardiovascolari successivi rispetto alla popolazione con malattia coronarica critica. La prognosi di questi pazienti è quindi generalmente favorevole, seppur caratterizzata da un rischio di eventi ischemici nel follow-up superiore ai pazienti con coronaropatia stabile30.

Questa categoria comprende in primo luogo pazienti che sviluppano una vera SCA dovuta all’instabilizzazione di placche aterosclerotiche che si sviluppano all’interno della parete coronarica, determinando cioè un rimodellamento positivo della parete, e pertanto non sempre rilevabili all’esame angiografico31; è quindi biologicamente plausibile che questi pazienti necessitino di una terapia farmacologica sovrapponibile a quella dei pazienti con coronaropatia significativa, anche in termini di duplice terapia antiaggregante piastrinica, al fine di influenzare positivamente l’outcome clinico.

Tuttavia, in questo gruppo vi sono anche numerosi pazienti con infarto di tipo 2 che richiedono quindi un trattamento farmacologico guidato dalla patologia di base “extracoronarica” e verosimilmente anche pazienti con “falsa diagnosi di SCA”, in cui cioè il rilascio di marcatori cardiaci è isolato e non si accompagna ad alcun altro requisito indispensabile ai fini della diagnosi di infarto miocardico (dolore toracico o modificazioni elettrocardiografiche).

Nei pazienti senza evidenza di coronaropatia e diagnosi di SCA andrebbe quindi sempre considerata la possibilità di una diagnosi alternativa, utilizzando tutte le tecniche di imaging, inclusa la risonanza magnetica cardiaca, per escludere tutte le altre cause che possono indurre toracoalgie e/o dismissione di troponina31. A questo proposito un’analisi sistematica molto interessante e recentemente pubblicata, relativa ad una casistica di pazienti con diagnosi di infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST in assenza coronaropatia significativa, ha evidenziato che solo in un quarto dei casi veniva confermata la presenza di infarto miocardico mediante risonanza magnetica, concludendo che in questa situazione numerose e confondenti possono essere le cause eziopatologiche32.




Pazienti con coronaropatia critica

Il secondo gruppo di pazienti, quello caratterizzato da coronaropatia critica non sottoposta a rivascolarizzazione, è invece una popolazione a rischio molto elevato di eventi ischemici a distanza, decisamente superiore ai pazienti con ateromasia coronarica equivalente ma corretta dalla rivascolarizzazione17.

Nello studio EARLY ACS questi pazienti hanno avuto un rischio di mortalità ad 1 anno doppio rispetto ai pazienti rivascolarizzati; si tratta di pazienti più anziani, prevalentemente donne, e più frequentemente diabetici, con pregresso infarto miocardico, pregressa angioplastica coronarica o bypass aortocoronarico, con più bassi valori di emoglobina e peggiore funzionalità renale. Inoltre, più frequentemente presentano severa disfunzione ventricolare sinistra, coronaropatia critica trivasale e/o del tronco comune, più spesso in assenza di alterazioni dei valori di troponina I e del tracciato elettrocardiografico33. Anche i dati del registro EPICOR confermano la prognosi nettamente peggiore di questa categoria di pazienti, che rappresentano un sottogruppo caratterizzato da un alto rischio di eventi ricorrenti e multipli nel follow-up34. In questi veri e propri “frequent flyers” dei reparti di cardiologia è verosimilmente utile adottare una strategia aggressiva di prevenzione secondaria, compresa la scelta di una maggiore potenza dell’antiaggregazione piastrinica, per evitare la recidiva degli eventi ischemici.

LA DUPLICE TERAPIA ANTIAGGREGANTE NEI PAZIENTI CON SINDROME CORONARICA ACUTA SENZA SOPRASLIVELLAMENTO DEL TRATTO ST NON RIVASCOLARIZZATI

I pazienti con SCA-NSTE non sottoposti a rivascolarizzazione coronarica hanno minore probabilità di ricevere un trattamento farmacologico aderente alle raccomandazioni delle linee guida, in particolare quando gestiti in reparti di medicina35. I pazienti gestiti conservativamente sono a rischio di ricevere una terapia medica subottimale relativamente a più classi di farmaci, tra cui statine, inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina, betabloccanti, oltre che alla terapia antitrombotica a breve e a lungo termine. Questo aspetto rappresenta verosimilmente un elemento prognostico sfavorevole per questa categoria di pazienti.

Per quanto riguarda l’inibizione dell’aggregazione piastrinica, le raccomandazioni delle linee guida per i pazienti con SCA-NSTE trattati con la sola terapia medica sono le stesse dei pazienti rivascolarizzati, sia durante la fase acuta sia nel lungo termine3. Le linee guida raccomandano, infatti, la somministrazione di ticagrelor o clopidogrel in associazione all’aspirina (fatta eccezione in caso di controindicazioni come ad esempio in caso di rischio di sanguinamento troppo elevato). In particolare, anche nei pazienti gestiti in maniera conservativa, il clopidogrel dovrebbe essere limitato ai pazienti che non possono ricevere ticagrelor perché controindicato (per pregressa emorragia cerebrale o per sanguinamento in atto) o perché in terapia anticoagulante orale. La duplice terapia antiaggregante è indicata per 12 mesi anche in questo gruppo di pazienti (previo adeguato bilanciamento del rischio ischemico ed emorragico) e alla luce dei dati recentemente pubblicati dello studio PEGASUS-TIMI 5436, anche in questa categoria di pazienti è possibile considerare il prolungamento della duplice antiaggregazione oltre i 12 mesi in caso di pregresso infarto miocardico in casi selezionati con un rischio di eventi trombotici particolarmente elevato.

Nel registro EYESHOT, espressione della pratica clinica attuale nella realtà italiana, il 41% dei pazienti con SCA-NSTE non sottoposti a rivascolarizzazione coronarica è stato dimesso senza la duplice terapia antiaggregante, vale a dire senza alcun inibitore del recettore piastrinico P2Y12 in associazione all’acido acetilsalicilico e proprio la scelta della strategia conservativa è risultata essere il principale fattore associato al non utilizzo di ticagrelor (prasugrel in base alle evidenze scientifiche non è indicato in questo gruppo di pazienti) (Figura 2).

Il beneficio della duplice terapia antiaggregante con aspirina e clopidogrel nei pazienti gestiti con la sola terapia medica è stato dimostrato dallo studio CURE in cui solo il 22% dei pazienti è andato incontro a rivascolarizzazione coronarica e in cui la duplice terapia antiaggregante ha determinato la riduzione del 20% dell’endpoint composito di morte cardiovascolare, infarto miocardico ed ictus ischemico a 12 mesi dall’evento acuto9. L’efficacia della duplice terapia antiaggregante in questo contesto è stata confermata da un più recente registro retrospettivo in cui l’utilizzo del clopidogrel in associazione all’aspirina in una coorte di pazienti con SCA trattati con la sola terapia medica ha determinato la significativa riduzione del rischio di morte ed infarto miocardico nel follow-up37.

Il ticagrelor è stato confrontato con il clopidogrel nello studio PLATO nei pazienti con SCA-NSTE gestiti sia con strategia invasiva precoce che con strategia conservativa risultando superiore rispetto al clopidogrel, con una riduzione del rischio relativo di morte cardiovascolare, infarto miocardico e ictus ischemico di circa il 17%38.




Un’analisi prespecificata dello studio PLATO, relativa ai pazienti gestiti con una strategia inizialmente conservativa (versus una strategia invasiva precoce), che rappresentano circa il 28% dei pazienti arruolati, ha dimostrato la riduzione significativa dell’endpoint primario, composito di morte cardiovascolare, infarto miocardico e ictus, nel gruppo ticagrelor rispetto al gruppo clopidogrel, con una riduzione significativa della mortalità totale e della mortalità cardiovascolare, peraltro in assenza di una significativa differenza dei sanguinamenti maggiori (secondo la classificazione TIMI), che tuttavia sono stati numericamente maggiori nel gruppo ticagrelor26. In un’analisi post-hoc dello stesso studio PLATO, il beneficio del ticagrelor rispetto al clopidogrel nella riduzione della ricorrenza degli eventi ischemici e della mortalità totale nel 48% dei pazienti che non hanno ricevuto rivascolarizzazione coronarica nei primi 10 giorni dopo l’evento acuto è risultato non significativamente differente da quello rilevato nella popolazione principale dello studio38. Inoltre la riduzione degli eventi cardiovascolari con ticagrelor si è ottenuta indipendentemente dal riscontro di coronaropatia significativa o meno all’angiografia; in particolare, sorprendentemente, anche nei pazienti senza coronaropatia significativa randomizzati a ticagrelor si è osservata una significativa riduzione della mortalità a lungo termine.

Lo studio TRILOGY ACS ha confrontato clopidogrel e prasugrel al dosaggio di 10 e 5 mg nei pazienti con SCA-NSTE di età <75 e >75 anni gestiti in maniera conservativa (sia sottoposti che non sottoposti all’esame coronarografico) dimostrando la non superiorità di prasugrel rispetto a clopidogrel in questa categoria di pazienti, in quanto tra i due gruppi non vi è stata differenza nell’endpoint primario, composito di morte cardiovascolare, reinfarto e ictus a 30 mesi24. In un’analisi successiva dello studio TRILOGY ACS è stato evidenziato un trend verso una minore incidenza dell’endpoint primario nei pazienti trattati con prasugrel rispetto a quelli trattati con clopidogrel nel gruppo sottoposto ad esame coronarografico, mentre non vi è stata sostanzialmente alcuna differenza nel gruppo gestito senza coronarografia39. La differenza di outcome clinico e di mortalità tra questi due gruppi di pazienti (indipendentemente dal trattamento farmacologico) suggerisce ancora una volta che queste due categorie di pazienti hanno di fatto un diverso profilo di rischio.

Considerato che i pazienti con SCA-NSTE gestiti in maniera conservativa sono relativamente sottorappresentati nei trial randomizzati e soprattutto considerato che i pazienti con gravi e molteplici comorbilità, che costituiscono una porzione rilevante di questa popolazione, non vengono di fatto arruolati nei trial clinici, vi è senza dubbio un bisogno ancora non risolto di definire la migliore strategia di antiaggregazione piastrinica nei pazienti con SCA-NSTE gestiti in maniera conservativa. Considerato il rischio significativo di eventi che caratterizza questa popolazione, la terapia antiaggregante si delinea elemento essenziale al fine di migliorarne l’outcome clinico; data inoltre l’eterogeneità della popolazione è peraltro chiaro che la strategia ottimale non può essere una sola da applicarsi rigidamente a tutta la categoria di pazienti. Anche l’utilizzo di un antiaggregante più potente rispetto al clopidogrel, quale ticagrelor, può essere un’opportunità in una quota rilevante di pazienti gestiti in maniera conservativa, considerato che il beneficio in termini di riduzione di eventi ischemici nei pazienti non rivascolarizzati è risultato consistente con quello della popolazione generale, anche nei pazienti anziani e con insufficienza renale40. La Figura 3 mostra una flow-chart proposta per ottimizzare la terapia antiaggregante nei pazienti con SCA non sottoposti a rivascolarizzazione coronarica.




L’OPZIONE DELLA NON RIVASCOLARIZZAZIONE

Al fine di identificare la migliore strategia di trattamento per i diversi pazienti racchiusi nell’eterogenea popolazione delle SCA-NSTE è sicuramente centrale ricordare la classificazione universale dell’infarto miocardico, in quanto le implicazioni terapeutiche sono certamente differenti per il tipo 1 e per il tipo 2 dato che diversi sono i meccanismi fisiopatologici sottostanti41.

L’infarto miocardico di tipo 1 è riconducibile allo sviluppo di trombosi coronarica quale conseguenza di rottura, ulcerazione, fissurazione, erosione o dissezione di una placca aterosclerotica (talvolta presente a livello di parete coronarica senza sviluppo endoluminale). Il target centrale del trattamento è quindi la placca aterosclerotica complicata e la trombosi coronarica.

L’infarto miocardico di tipo 2 è invece riconducibile ad una situazione di discrepanza tra la richiesta e l’apporto di ossigeno del muscolo cardiaco che si determina per una condizione patologica diversa dalla malattia coronarica e dove l’eventuale presenza di concomitanti stenosi coronariche può agire da elemento precipitante. Rientrano in questo quadro le SCA che si sviluppano in corso di grave anemia, tachiaritmie, crisi ipertensiva, ipotensione, insufficienza respiratoria. Il primo target di trattamento è in questo caso la patologia extracoronarica che ha determinato la discrepanza fra apporto e richiesta di ossigeno al miocardio e il trattamento o meno dell’eventuale malattia coronarica sottostante va ponderato in un’ottica di rischio-beneficio che tenga conto del quadro clinico complessivo del paziente.

Al fine di ottimizzare la gestione dei pazienti con SCA-NSTE e di conseguenza la prognosi degli stessi è di fondamentale importanza la corretta identificazione dei pazienti da avviare alla strategia invasiva.

In primo luogo, va evitato che la coronarografia venga negata per motivazioni non cliniche, ma logistiche, cioè a causa della non presenza del laboratorio di emodinamica on-site, cercando quindi di eliminare la differenza sia nel ricorso alla strategia invasiva sia, per quanto possibile, nel timing della stessa, tra i pazienti che accedono a Centri “hub” e quelli che accedono a Centri “spoke”.

In secondo luogo, la sola età avanzata, in assenza di altre condizioni patologiche o di fragilità, non deve condizionare la possibilità del paziente di ricevere il miglior trattamento. È quindi l’età biologica e non quella anagrafica a dover essere considerata per la valutazione della strategia e della terapia.

Nell’ambito della valutazione clinica circa il sottoporre o meno alla coronarografia o alla rivascolarizzazione i pazienti più “complessi”, vale a dire i pazienti con importanti comorbilità o fragili o grandi anziani, in assenza di dati di medicina basata sull’evidenza, è necessario un attento bilanciamento dei potenziali rischi e benefici nel singolo paziente, considerando però anche il ruolo dell’esame angiografico nella stratificazione del rischio attraverso la conoscenza della sede e dell’estensione della coronaropatia. Infatti, di fronte ad una patologia coronarica a rischio ischemico particolarmente elevato, anche la presenza di un eventuale rischio emorragico rilevante può diventare relativa in un’ottica di rischio-beneficio sia per quanto riguarda la rivascolarizzazione sia per quanto riguarda la scelta di una terapia antitrombotica più potente.

Inoltre, nel caso di pazienti anziani o con severe comorbilità, il beneficio derivante dalla rivascolarizzazione e/o da una terapia antiaggregante più potente nel ridurre le recidive di SCA e le inerenti nuove ospedalizzazioni potrebbe risultare comunque favorevole in un’ottica globale di gestione del paziente anche quando non è verosimilmente modificabile la prognosi quod vitam.

In questa categoria di pazienti, vale a dire grandi anziani, pazienti fragili, o portatori di comorbilità gravi (come ad esempio neoplasie o grave insufficienza renale) è tuttavia sempre consigliabile un approccio clinico prudente, che tenga conto anche delle preferenze del paziente stesso e dei familiari.

Inoltre, poiché le considerazioni nell’ambito di queste categorie di pazienti non derivano dalla medicina basata sull’evidenza, ma piuttosto da ciò che si ritiene ragionevole, per superare il rischio e le possibili distorsioni di una valutazione soggettiva, è auspicabile che l’inquadramento clinico venga integrato anche dall’impiego di score di rischio come il GRACE e il CRUSADE, così come raccomandato dalle linee guida3. In tal senso sarebbe utile che la conoscenza di questi score di rischio venisse estesa anche agli ambienti medico-geriatrici laddove frequentemente questi pazienti vengono ricoverati.

Allo stesso modo, i cardiologi dovrebbero fare proprio e familiarizzare con il concetto di fragilità, inteso come condizione clinica specifica associata ad un elevato rischio di eventi avversi, cardiovascolari e non, e che implica la necessità di ottimizzare la gestione clinica di questi pazienti in modo peculiare e non generalizzato42. Per inquadrare correttamente questi pazienti è quindi raccomandabile l’utilizzo di specifici score geriatrici di fragilità, come ad esempio il “Clinical Frailty Scale”43, da applicare in ambito cardiologico per riconoscere e graduare questa condizione clinica anche nei pazienti con SCA. Infatti, una recente analisi post-hoc del trial TRILOGY ACS ha dimostrato che i pazienti con alto punteggio di fragilità presentavano prognosi a lungo termine nettamente peggiore rispetto a tutte le altre categorie di rischio analizzate ed indipendentemente dal trattamento ricevuto alla randomizzazione44.

CONCLUSIONI

Nella pratica clinica quotidiana esiste un’ampia popolazione di pazienti con SCA-NSTE in cui non si possono applicare rigidamente le conoscenze ricavate dai trial e, almeno per una parte di essa, una gestione inizialmente conservativa può essere ragionevole ed appropriata. In questo gruppo di pazienti è quindi fondamentale ottimizzare la terapia farmacologica in generale e quella antitrombotica in particolare per migliorare l’outcome clinico. È auspicabile l’utilizzo della duplice antiaggregazione piastrinica in una più ampia percentuale di pazienti trattati con strategia conservativa rispetto alla pratica clinica attuale. A questo scopo, le informazioni fornite della coronarografia, seppur quando non seguita da rivascolarizzazione miocardica, possono risultare utili anche al fine di ottimizzare la terapia farmacologica.

Infine, vista la sostanziale assenza di dati di basati sull’evidenza in questi gruppi di pazienti “difficili”, quali anziani, grandi anziani, pazienti fragili e pazienti con comorbilità significative, sarebbe altamente raccomandabile da parte delle Società Scientifiche l’impegno a raccogliere dati e disegnare studi ad hoc al fine di fornire informazioni in grado di guidare il trattamento di queste categorie che sono in grande crescita e che rappresenteranno nel futuro una percentuale sempre più rilevante della popolazione dei pazienti con SCA. Tali dati consentirebbero di identificare più correttamente i pazienti che verosimilmente non traggono beneficio da una strategia invasiva e nei quali la gestione conservativa rappresenta il miglior compromesso possibile.

In tal senso, lo studio ANMCO IN-PROGRESS (ItaliaN Educational PROGramme for Improving Quality of Care in Patients not REvascularized During the Index Hospitalization for Non-ST Elevation Acute Coronary SyndromeS), che partirà a breve in 40 unità di terapia intensiva cardiologica italiane selezionate, fornirà ulteriori importanti informazioni sull’attuale pratica clinica e valuterà l’impatto prognostico di una strategia di implementazione delle linee guida europee nei pazienti trattati con strategia conservativa.

RIASSUNTO

Le sindromi coronariche acute senza sopraslivellamento del tratto ST (SCA-NSTE) rappresentano uno dei principali quadri clinici della cardiopatia ischemica. Questa popolazione comprende pazienti con caratteristiche cliniche e prognostiche molto eterogenee, una parte significativa dei quali viene trattata con la sola terapia medica e cioè senza essere sottoposta a procedure di rivascolarizzazione. Nel registro italiano EYESHOT e nel registro francese FAST-MI questa quota è stata rispettivamente pari al 40% e 35%.

I pazienti con SCA-NSTE trattati con la sola terapia medica sono a più alto rischio di eventi avversi cardiovascolari e hanno una prognosi peggiore, anche in termini di mortalità, sia a breve sia a lungo termine, rispetto ai pazienti sottoposti a rivascolarizzazione coronarica. La categoria dei pazienti con SCA-NSTE gestiti in maniera conservativa comprende tre gruppi eterogenei tra loro: pazienti non sottoposti a studio coronarografico, pazienti sottoposti a coronarografia con coronarie esenti da ateromasia significativa ed, infine, pazienti sottoposti a coronarografia con coronaropatia significativa per i quali si decide di non eseguire procedure di rivascolarizzazione coronarica.

Al fine di ottimizzare la gestione dei pazienti con SCA-NSTE e di conseguenza la prognosi degli stessi, è di fondamentale importanza la corretta identificazione dei pazienti da non avviare a strategia invasiva. Va evitato che la coronarografia venga negata per motivazioni non cliniche, ma logistiche, cioè a causa dell’assenza on-site del laboratorio di emodinamica; inoltre, la sola età avanzata, in assenza di altre condizioni patologiche o di fragilità, non deve condizionare la possibilità del paziente di ricevere il miglior trattamento.

Nell’ambito della valutazione clinica circa il sottoporre o meno a coronarografia o a rivascolarizzazione i pazienti più “complessi”, vale a dire i pazienti con importanti comorbilità o fragili o grandi anziani, in assenza di dati di medicina basata sull’evidenza, è necessario un attento bilanciamento dei potenziali rischi e benefici nel singolo caso, considerando però anche il ruolo dell’esame angiografico nella stratificazione del rischio attraverso la conoscenza della sede e dell’estensione della coronaropatia.

I pazienti con SCA-NSTE non sottoposti a rivascolarizzazione coronarica hanno minore probabilità di ricevere un trattamento farmacologico aderente alle raccomandazioni delle linee guida, in particolare quando gestiti in reparti di medicina. La duplice terapia antiaggregante è indicata per 12 mesi anche in questi pazienti, previo adeguato bilanciamento del rischio ischemico ed emorragico. È quindi fondamentale ottimizzare la terapia farmacologica in generale e quella antitrombotica in particolare per migliorare l’outcome clinico. È auspicabile l’utilizzo della duplice terapia antiaggregante in una più ampia percentuale di pazienti trattati con strategia conservativa rispetto alla pratica clinica attuale, considerando anche l’utilizzo di ticagrelor rispetto a clopidogrel in questa categoria di pazienti.

Parole chiave. Rivascolarizzazione; Sindrome coronarica acuta; Strategia conservativa; Terapia antiaggregante; Terapia medica.

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