Riserva frazionale di flusso: una breve guida pratica
all’utilizzo per l’interventista e il punto di vista
del cardiologo clinico

Serafina Valente1, Alessio Mattesini1,2, Roberta Rossini3, Sergio Berti4,
Carlotta Sorini Dini1, Alessandro Politi2, Luca Golino2, Francesco Romeo5, Giuseppe Musumeci6,
Gian Franco Gensini7, Carlo Di Mario1

1Unità di Cardiologia Interventistica Strutturale, AOU Careggi, Firenze

2Ospedale Moriggia-Pelascini, Gravedona ed Uniti, Como

3Dipartimento Cardiovascolare, ASST Papa Giovanni XXIII, Bergamo

4U.O. Cardiologia Interventistica, G. Pasquinucci Heart Hospital, Fondazione Toscana G. Monasterio, Massa

5U.O.C. Cardiologia e Cardiologia Interventistica, Policlinico “Tor Vergata”, Roma

6S.C. Cardiologia, Ospedale Santa Croce e Carle, Cuneo

7Presidente Società Italiana di Simulazione in Medicina (SIMMED)

Fractional flow reserve (FFR) is considered the gold standard for functional assessment of coronary stenosis in stable coronary artery disease. The use of FFR enables an ischemia-guided revascularization with improvement of clinical outcomes in a cost-effective fashion. Both clinical and interventional cardiologists should be aware of the advantages and potential pitfalls of this technique. We focus on FFR with the aim to provide the clinical cardiologist with information on indications and technical aspects to confirm a correct execution of FFR in different coronary anatomical settings.

Key words. Coronary artery disease; Fractional flow reserve; Percutaneous coronary intervention.

INTRODUZIONE

Il razionale per l’utilizzo della valutazione funzionale delle stenosi coronariche deriva dalle limitazioni insite all’angiografia coronarica. Tale metodica, pur rappresentando a oggi il riferimento per la valutazione dell’anatomia coronarica normale e patologica, presenta due limiti non superabili. Prima di tutto, nonostante l’introduzione dell’angiografia coronarica quantitativa (QCA), la stima della stenosi coronarica resta operatore-dipendente; questo aspetto limita l’accuratezza diagnostica della sola angiografia coronarica. Il secondo è che l’angiografia coronarica da sola non fornisce alcuna informazione circa la “criticità funzionale” delle lesioni coronariche. Questo aspetto, di secondaria importanza nel contesto delle sindromi coronariche acute, è dirimente nell’ambito della coronaropatia stabile. In quest’ultima condizione clinica la presenza di ischemia sottesa alla criticità funzionale di una lesione coronarica rappresenta il primum movens per il trattamento invasivo della lesione stessa.

La riserva frazionale di flusso, comunemente nota come fractional flow reserve (FFR), rappresenta la metodica invasiva con maggiori evidenze scientifiche a supporto della sua utilità clinica per la valutazione funzionale delle stenosi coronariche.

Le informazioni ottenibili con l’indagine FFR, in molti contesti clinici ed angiografici, sono cruciali nella pianificazione di una procedura di rivascolarizzazione percutanea coronarica. Questo strumento permette di identificare immediatamente la criticità funzionale di una lesione evitando di dover ricorrere all’esecuzione di test non invasivi (scintigrafia miocardica, ecocardiografia da stress, test ergometrico) per la ricerca di ischemia miocardica inducibile/ridotta riserva coronarica. Il trattamento dei sintomi (angina) e la riduzione della quota di ischemia miocardica inducibile sono gli obiettivi principali della procedura coronarica percutanea (PCI) nei pazienti affetti da coronaropatia stabile. Pertanto, la FFR trova il suo principale impiego nell’ambito della coronaropatia stabile. Sarà scopo di questo documento fornire una guida pratica al cardiologo interventista per l’utilizzo di questa metodica senza tralasciare il punto di vista del cardiologo clinico che si trova quasi sempre per primo a valutare il paziente con coronaropatia stabile.

DEFINIZIONE E BREVE DESCRIZIONE DELLA METODICA

La FFR è il rapporto tra la pressione media a valle di una stenosi e la pressione media a monte della stessa durante iperemia massimale. Essa rappresenta la frazione di flusso coronarico preservata nonostante la presenza di una o più stenosi coronariche. In altre parole la FFR misura direttamente il gradiente pressorio transtenotico per misurare indirettamente il flusso transtenotico. Il principio fisico di base è la proporzionalità fra la pressione e il flusso che si realizza in condizione di iperemia massimale.

La FFR può essere schematizzata con una formula:




dove Q è il flusso coronarico attraverso la lesione o il vaso normale ed è uguale al Δ pressorio (pressione a valle – pressione a monte) diviso la resistenza al flusso ematico nel tessuto miocardico: (Δ)/Rmio.

Tale formula, pertanto, deriva dalla seguente:




dove Pd è la pressione a valle della stenosi, Pv la pressione atriale, Pa la pressione aortica, Rmio la resistenza miocardica.

La Pa è relativamente bassa e soggetta a minime variazioni istantanee e può essere eliminata dalla formula. La Rmio durante iperemia massimale è costante e può essere eliminata dalla formula. Se ne deduce che:




Il valore di FFR = 1 rappresenta pertanto la condizione di un vaso normale, esente da lesione. Valori <1 indicano la presenza di un ostacolo al flusso coronarico. Secondo i principali studi che hanno fornito la dimostrazione dell’efficacia clinica della FFR, il cut-off di riferimento è il valore di 0.801,2. Schematicamente, una lesione che si associ a valori >0.80 è da ritenersi funzionalmente non significativa; una lesione che si associ ad un valore ≤0.80 è da ritenersi funzionalmente significativa.

VALIDAZIONE DELLA RISERVA FRAZIONALE DI FLUSSO

A partire dagli anni ’90 sono stati pubblicati numerosi studi clinici sull’efficacia e utilità della valutazione funzionale della malattia coronarica3-5. Nelle linee guida europee sulla rivascolarizzazione miocardica, l’utilizzo della FFR per identificare stenosi coronariche emodinamicamente rilevanti viene indicato in classe di raccomandazione I con livello di evidenza A6. Tale indicazione deriva dal fatto che è stato dimostrato che:

– è sicuro differire la rivascolarizzazione coronarica sulla base dei valori di FFR;

– solamente la rivascolarizzazione percutanea delle stenosi funzionalmente significative fornisce risultati migliori rispetto alle procedure effettuate su tutte le lesioni angiograficamente significative.

Il DEFER è stato il primo trial randomizzato che ha dimostrato la sicurezza e l’efficacia della rivascolarizzazione coronarica basata sulla FFR7. In questo studio sono stati arruolati 325 pazienti suddivisi in tre gruppi:

1. pazienti con FFR ≥0.75 in cui la PCI veniva differita,

2. pazienti con FFR ≥0.75 in cui è stata eseguita PCI, e

3. pazienti con FFR <0.75 che venivano trattati con PCI (gruppo controllo).

Il dato saliente al follow-up a 5 anni era che nei pazienti con FFR ≥0.75 l’outcome clinico non differiva tra il gruppo randomizzato in cui la PCI era differita e quello in cui veniva eseguita (endpoint composito di morte cardiaca e infarto miocardico: 3.3 vs 7.9%; p=0.21). Il gruppo con FFR <0.75 aveva una più alta frequenza degli stessi eventi rispetto ai gruppi con FFR ≥0.75.

Lo studio che ha convalidato su larga scala l’uso clinico della FFR è stato il FAME 11. In questo studio sono stati arruolati 1005 pazienti con coronaropatia multivasale randomizzati a PCI sulla base della sola angiografia vs PCI guidata da FFR con cut-off di 0.80. Il risultato saliente dello studio era rappresentato dal tasso di eventi avversi maggiori ad 1 anno che era inferiore nel gruppo FFR rispetto al gruppo sola angiografia (13.3 vs 18.3%; p=0.02). Successivamente, nello studio FAME 22, 1222 pazienti con malattia coronarica stabile in cui almeno una stenosi era funzionalmente significativa (FFR ≤0.80) sono stati randomizzati a PCI associata a terapia medica ottimale vs sola terapia medica ottimale. In questo gruppo di pazienti (FFR ≤0.80) la PCI determinava un vantaggio significativo con una significativa riduzione ad 1 anno dell’evento primario (morte, infarto miocardico, ricovero non pianificato per rivascolarizzazione urgente) (4.3% nel gruppo PCI vs 12.7% nel gruppo terapia medica, hazard ratio [HR] con PCI 0.32; intervallo di confidenza [IC] 95% 0.19-0.53; p<0.001). La differenza era dovuta prevalentemente ad un più basso tasso di rivascolarizzazione urgente nei pazienti trattati con PCI (1.6 vs 11.1%; HR 0.13; IC 95% 0.06-0.30; p<0.001). Lo studio è stato interrotto prematuramente per eccesso di eventi nel braccio trattato con sola terapia medica.

Va sottolineato, tuttavia, che nel trial FAME 1 l’incidenza di morte o infarto miocardico a 1 anno è stata sorprendentemente elevata, ossia l’11.1% nel gruppo PCI e il 7.3% nei pazienti valutati con FFR, sovrapponibile cioè a quelle dei grandi trial su sindrome coronarica acuta come il TRITON-TIMI 38 e il PLATO8,9. La maggior parte dei pazienti arruolati, inoltre, erano asintomatici o con angina lieve. Tra gli endpoint veniva considerato anche l’infarto periprocedurale, con evidente effetto sfavorevole nel gruppo sottoposto a PCI. Va, poi, tenuto in considerazione che si tratta di uno studio non condotto in cieco e, di conseguenza, il minor raggiungimento dell’endpoint composito nel gruppo trattato con terapia medica potrebbe in parte essere legato ad una minore incidenza di nuova rivascolarizzazione per volontà decisionale degli investigatori.

Lo studio FAME 2 ha dimostrato come in pazienti con malattia coronarica stabile e stenosi funzionale significativa (a differenza di pazienti senza ischemia), una PCI FFR-guidata riduce la necessità di nuova rivascolarizzazione urgente rispetto alla strategia basata soltanto sulla terapia medica ottimizzata2. Anche in questo studio, la decisione a rivascolarizzazione (endpoint) era discrezionale e potrebbe aver condizionato i risultati dello studio.

Recentemente sono stati pubblicati i risultati del follow-up a 5 anni dello studio FAME10, che hanno dimostrato una incidenza durante il follow-up di eventi cardiovascolari maggiori pari al 31% (154 su 496) nei pazienti trattati con sola guida angiografica vs 28% (143 su 509) nei pazienti trattati con guida FFR (rischio relativo 0.91, IC 95% 0.75-1.10; p=0.31).

Ancor più recentemente sono stati pubblicati i risultati a 15 anni di follow-up del DEFER, studio cardine il cui disegno e risultati a 5 anni sono riportati all’inizio del paragrafo11. Il follow-up a 15 anni conferma che differire il trattamento di lesioni funzionalmente non significative è sicuro anche a lungo termine senza fenomeni di “catch-up” tardivi.

IL PUNTO DI VISTA DEL CARDIOLOGO CLINICO SULL’UTILIZZO DELLA RISERVA FRAZIONALE DI FLUSSO

Un documento della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (SICI-GISE) sulle indicazioni alla coronarografia nei pazienti con angina stabile recentemente pubblicato sottolinea come, nei pazienti con angina tipica e plurimi fattori di rischio cardiovascolare o nei pazienti diabetici con sintomi confondenti ma particolarmente sospetti, si possa procedere ad esame coronarografico in prima battuta senza l’esecuzione di test non invasivi12. Tale indicazione si basa su alcune considerazioni. La diagnosi di angina è una diagnosi “clinica”; pertanto dovrebbe contemplare principalmente la tipicità della sintomatologia e la presenza di fattori di rischio coronarico, piuttosto che invocare metodiche, non sempre riproducibili e alla portata di tutti, come ad esempio la misurazione dello spessore medio-intimale o Doppler tissutale e strain, come consigliato dalle linee guida europee sulla cardiopatia ischemica stabile13. Peraltro, la valutazione dell’anatomia coronarica è fondamentale nella stratificazione prognostica del paziente. Il trial COURAGE, che non aveva dimostrato alcuna differenza significativa in termini di eventi avversi nei pazienti con cardiopatia ischemica stabile trattati con terapia medica rispetto a quelli sottoposti a PCI, ha arruolato pazienti ad albero coronarico noto14. Dei 35 539 pazienti valutati, soltanto 2287 (6.4%) sono stati arruolati. È stata, pertanto, effettuata una selezione sulla base del dato anatomico e sono stati esclusi pazienti ad elevato rischio. Inoltre, la distinzione tra angina stabile e instabile non è sempre chiaramente definibile nel mondo reale.

Pertanto, sulla base di quanto contenuto nel suddetto documento, non sarà infrequente avviare a studio coronarografico un paziente con angina tipica, senza documentazione strumentale della sede e dell’entità di ischemia inducibile. In questi casi, specie in pazienti con riscontro di coronaropatia multivasale, l’impiego della FFR nel guidare la PCI potrebbe essere estremamente utile e vantaggioso.

Infatti, nonostante limitazioni dei trial FAME 1 e 2, numerosi studi hanno confermato la validità della metodica. La necessità di una metodica invasiva per la valutazione dell’ischemia emerge dai dati del “mondo reale” sulla scarsa disponibilità dei test non invasivi. Dal registro americano CathPCI, in riferimento ai dati relativi a 941 248 pazienti sottoposti a PCI nel 2011, è emerso che solo il 52% di questi aveva effettuato un test non invasivo di valutazione dell’ischemia prima dell’esame coronarografico15.

Una recente metanalisi di Johnson et al.16 ha valutato i dati di 51 studi per un totale di 9173 lesioni ed ha dimostrato che una strategia FFR-guidata riduce del 50% l’indicazione alla PCI, riducendo in maniera significativa gli eventi avversi e la sintomatologia anginosa. Gli autori hanno quindi dimostrato una relazione continua tra valore di FFR e prognosi. Pertanto, i pazienti con angina da sforzo, avviati a coronarografia senza esecuzione di un test non invasivo per documentare la sede di ischemia, dovrebbero essere trattati con PCI previa esecuzione di FFR.

ASPETTI PRATICI GENERALI PER UNA CORRETTA MISURAZIONE DELLA RISERVA FRAZIONALE DI FLUSSO

La misurazione della FFR viene generalmente eseguita utilizzando un catetere guida. La misurazione è tecnicamente eseguibile anche con catetere diagnostico, tuttavia, il catetere guida a) permette una manipolazione più facile della guida di pressione riducendo la frizione legata al passaggio della guida nel catetere stesso, b) offre un lume interno maggiore a parità di diametro interno interferendo di meno nella misurazione della pressione di riferimento aortica, e c) rende possibile l’esecuzione diretta di una PCI ad hoc utilizzando la stessa guida di pressione come guida da PCI.

Le guide di pressione attualmente disponibili ed approvate per uso clinico sono prodotte da St. Jude Medical (St. Paul, MN, USA), da marzo 2017 da Abbott Vascular (Minneapolis, MN, USA), Volcano Corp. (San Diego, CA, USA) e Boston Scientific (Natick, MA, USA).

I produttori forniscono guide di pressione 0.014” utilizzabili anche come guida per PCI. Si rimanda alle specifiche delle singole guide e relative consolle per ulteriori particolari tecnici. In generale la connessione alla consolle, sia essa via cavo o wireless, e il successivo “zero” delle guide di pressione deve essere fatto mantenendo le stesse all’interno del loro contenitore riempito con soluzione fisiologica e poggiato su superficie piana all’altezza del trasduttore di pressione. Successivamente, la guida di pressione viene fatta avanzare nel catetere guida e il sensore di pressione, generalmente localizzato a pochi centimetri dall’estremità distale alla giunzione tra l’estremità terminale radiopaca e lo shaft radiotrasparente, viene posizionato immediatamente all’uscita del catetere guida. In questa posizione, previa rimozione del facilitatore dal connettore a Y e lavaggio con soluzione fisiologica del mezzo di contrasto eventualmente contenuto nel catetere, deve essere eseguita l’equalizzazione tra la pressione aortica (riportata anche dal poligrafo) e la pressione letta dalla guida di pressione stessa. Deve essere posta attenzione nell’eseguire l’equalizzazione mantenendo il sensore di pressione all’ostio del catetere guida a monte di eventuali stenosi poiché l’equalizzazione a valle di stenosi coronariche inficia la misurazione. Dopo aver eseguito l’equalizzazione, la guida di pressione è fatta avanzare in coronaria oltrepassando con il trasduttore di pressione la stenosi che deve essere valutata. A questo punto, previo controllo della Pd/Pa (espressione del gradiente transtenotico prima dell’induzione di iperemia), è consigliabile la somministrazione di nitrati intracoronarici (ad esempio 1-2 mg di isosorbide dinitrato) per eliminare qualsiasi componente di stenosi dinamica epicardica dovuta a vasospasmo. Successivamente, si procede ad induzione dell’iperemia massimale. Il farmaco più utilizzato è l’adenosina, sia in infusione continua (meglio da vena centrale o in alternativa da buon accesso venoso periferico) che con iniezione intracoronarica. L’infusione continua è la metodica utilizzata e validata negli studi cardine FAME 11 e FAME 22 e permette una più semplice esecuzione della misurazione, in particolare se devono essere valutate più lesioni durante il pull-back. Il dosaggio standard per l’induzione di iperemia con adenosina in infusione continua è di 140 μg/kg/min. Quando si usa l’adenosina in infusione continua, soprattutto da accesso venoso periferico, è necessario accertarsi che il farmaco sia effettivamente somministrato e nella dose corretta. In queste condizioni il paziente deve essere accuratamente controllato e monitorizzato. Infatti, la somministrazione di adenosina e.v. per induzione di iperemia massimale può generare sintomi rapidamente reversibili (flushing, sensazione di testa vuota, difficoltà del respiro, ecc.), modificazioni elettrocardiografiche (bradicardia) ed un lieve calo della pressione arteriosa, tipici della somministrazione di questo farmaco. Inoltre, in presenza di una stenosi, l’induzione di iperemia determina una caratteristica modificazione delle curve di pressione con progressivo discostamento tra la pressione aortica da quella coronarica distale; le curve e i valori pressori si stabilizzano quando viene raggiunta l’iperemia stabile (Figura 1).




SOTTOTIPI DI LESIONE

La misurazione della FFR può implicare accorgimenti particolari a seconda dell’anatomia coronarica, della localizzazione della stenosi e della presenza di stenosi multiple in un singolo vaso o in più vasi. Lo scopo di questo paragrafo è fornire regole e consigli semplici per eseguire correttamente la valutazione della FFR delle stenosi coronariche in specifici contesti anatomici che implicano particolari accorgimenti tecnici.

Lesioni ostiali (escluse le aorto-ostiali)

Le lesioni ostiali possono presentare alcuni aspetti che ne rendono complessa la valutazione con FFR. In caso di lesioni che interessino l’ostio dell’arteria interventricolare anteriore o l’ostio della circonflessa, bisogna anzitutto accertarsi che non sia coinvolto il tronco comune distale. Se la sola angiografia non è sufficiente a dirimere ogni dubbio, è consigliabile eseguire la valutazione della FFR sia a livello dell’arteria interventricolare anteriore che dell’arteria circonflessa.

Difficoltà di diversa natura possono presentarsi nel caso di lesioni che coinvolgono l’ostio di rami collaterali come rami diagonali, rami al margine ottuso o rami distali della coronaria destra. In questi casi, se il ramo collaterale con malattia ostiale emerge da un tratto particolarmente tortuoso e con angolo sfavorevole, il wiring con la guida di pressione può essere particolarmente complesso. Infatti, le guide di pressione attualmente disponibili in commercio sono più difficilmente “navigabili” rispetto alle guide coronariche da PCI e la manipolazione della punta al fine di modellare la stessa con adeguato J può causare malfunzionamento nella fase di misurazione. È necessario manipolare con cura la guida nella zona di passaggio tra porzione radiopaca, dove è localizzato il rilevatore di pressione, per evitare di danneggiarlo. Le stesse difficoltà e attenzioni si incontreranno nel caso in cui si voglia interrogare l’ostio di un ramo collaterale che emerge da un segmento trattato con impianto di stent.

Lesioni del tronco comune

Le stenosi del tronco comune non sono sempre facilmente valutabili sulla base dell’angiografia coronarica dal momento che:

– il tronco comune è frequentemente corto e l’emergenza dal seno coronarico molto variabile in termini di angolazione;

– la presenza di aterosclerosi diffusa rende difficile l’identificazione dei segmenti sani di riferimento;

– la visualizzazione della lesione è spesso difficoltosa.

I test diagnostici non invasivi risultano spesso di scarsa utilità nell’orientare la diagnosi nella malattia del tronco comune16. Inoltre, in considerazione del rischio di sottostimare la severità di una stenosi equivoca del tronco comune, scelta che potrebbe mettere a rischio la vita del paziente, il cardiologo interventista potrebbe essere indotto ad abbassare la soglia decisionale ed indicare una rivascolarizzazione anche nei casi in cui tali lesioni risultino funzionalmente non significative. Decisione, quest’ultima, che può esporre il paziente a un rischio chirurgico ingiustificato e ad un più alto rischio di ricorrenza ischemica, dal momento che la rivascolarizzazione di lesioni non emodinamicamente significative può condurre all’atresia dei graft arteriosi/venosi17. La valutazione funzionale invasiva mediante FFR rappresenta una valida possibilità nei casi di stenosi equivoche del tronco comune. Infatti una strategia di rivascolarizzazione basata sulla FFR è stata dimostrata sicura in base a uno studio condotto su 213 pazienti con stenosi di significato dubbio del tronco comune, valutata mediante FFR o QCA18. Differire la rivascolarizzazione del tronco comune in presenza di una FFR >0.80 ha dimostrato in questi pazienti un outcome a 5 anni favorevole e comunque paragonabile a quello di pazienti con stenosi funzionalmente significativa (FFR ≤0.80) trattati con bypass aortocoronarico. La valutazione con FFR del tronco comune risulta pertanto di impatto ancor maggiore e quindi fortemente indicata, rispetto alla valutazione di stenosi coronariche in sedi diverse dal tronco comune stesso.

Lesioni aorto-ostiali

Le lesioni aorto-ostiali, siano esse localizzate all’ostio della coronaria destra o all’ostio del tronco comune, presentano specifiche difficoltà nella valutazione della loro severità. L’angiografia, esclusi i casi di stenosi organica iper-critica con dumping pressorio all’incannulamento, difficilmente permette di discriminare la criticità di lesioni di grado intermedio19. La tomografia a coerenza ottica (OCT) è scarsamente fruibile in questo contesto poiché risulta pressoché impossibile ottenere un adeguato flushing con mezzo di contrasto dell’ostio con conseguente imaging non ottimale. Un’alternativa è lo studio con ecografia intravascolare che, eseguito con particolari accorgimenti, permette la valutazione delle lesioni aorto-ostiali. Tuttavia, un cut-off di diametro luminale minimo, sia per il tronco comune ostiale che per la coronaria destra ostiale, che correli con la significatività funzionale di tali lesioni (FFR ≤0.80) non è ancora stato definito in maniera univoca20,21. Pertanto, anche in questo contesto anatomico, la valutazione con FFR può fornire informazioni cruciali nel determinare la criticità o meno della lesione.

La valutazione con FFR delle lesioni aorto-ostiali implica due particolari attenzioni:

– corretta equalizzazione,

– corretta posizione del catetere durante la valutazione della lesione.

La scelta del catetere è cruciale in questo contesto anatomico, infatti devono essere scelti cateteri che permettano incannulazione non selettiva ed evitati cateteri disegnati per incannulazione aggressiva e profonda (ad esempio extra backup nel caso della coronaria sinistra e cateteri tipo Amplatz nel caso della coronaria destra). In linea di massima, lo studio mediante FFR delle lesioni aorto-ostiali è semplificato utilizzando cateteri tipo Judkins.

L’equalizzazione, causa la localizzazione aorto-ostiale della stenosi, dovrà essere eseguita con catetere incannulato non selettivamente lasciando spazio a sufficienza tra l’uscita del catetere e l’ostio coronarico tale da permettere di posizionare il trasduttore di pressione della guida da FFR fuori dallo stesso catetere ma senza oltrepassare la stenosi ostiale stessa. Tale manovra può essere agevolata posizionando una guida coronarica 0.014” distalmente nella coronaria da interrogare che permetterà di stabilizzare il catetere anche quando verrà retratto dall’incannulamento. Una volta eseguita l’equalizzazione si procederà pertanto ad avanzare la guida di pressione con trasduttore oltre la stenosi aorto-ostiale; in questo momento è possibile incannulare selettivamente la coronaria. Nel momento in cui si inizia l’induzione dell’iperemia il catetere deve essere nuovamente retratto per evitare che lo stesso influisca sull’entità della stenosi ostiale stessa. Mantenere una seconda guida da PCI rende più semplici queste manovre. Per eseguire la valutazione con FFR delle lesioni ostiali è preferibile indurre l’iperemia attraverso infusione continua e.v. di adenosina e non intracoronarica, causa la più complessa gestione della cannulazione selettiva.

Lesioni in serie

Quando sono presenti più lesioni in serie nella stessa coronaria epicardica, la FFR ci fornisce un valore che riflette l’impatto funzionale dato dalla somma delle stesse sul flusso ematico nella coronaria interrogata. Pertanto, in caso di FFR >0.80 a valle della lesione più distale, l’angioplastica di tutte le lesioni presenti nel vaso potrà essere differita. Al contrario, in caso di FFR ≤0.80, è importante definire l’impatto delle singole lesioni sul valore complessivo di FFR per valutare se debbano essere trattate tutte le lesioni o se l’angioplastica di alcune di esse possa essere differita.

Teoricamente, la FFR può essere calcolata singolarmente per ogni stenosi. Tuttavia, questo approccio è laborioso e difficilmente realizzabile “online” nel laboratorio di emodinamica. Nella pratica clinica, retraendo lentamente la guida di pressione durante massima iperemia, si possono osservare incrementi successivi del valore di FFR che riflettono grossolanamente l’impatto di ogni singola lesione. Qualora il pull-back non sia dirimente nell’identificazione della lesione con maggior impatto sulla FFR, è consigliabile procedere come segue:

1. trattare la stenosi angiograficamente più critica;

2. eseguire nuova valutazione con FFR a valle di ogni stenosi;

3. se la FFR risulta >0.80, le lesioni residue potranno essere differite;

4. se la FFR risulta ≤0.80 occorre procedere a trattare in successione la lesione residua angiograficamente più significativa.

In caso di ulteriore lesione residua nello stesso vaso sarà necessario ripetere nuovamente la valutazione FFR procedendo ancora come riportato appena sopra (Figura 2).




CONCLUSIONI

La FFR è la principale metodica validata che fornisce un dato funzionale nella valutazione delle stenosi coronariche all’interno del laboratorio di emodinamica. Nei pazienti con coronaropatia stabile permette di identificare con sicurezza e riproducibilità le lesioni che necessitano una rivascolarizzazione meccanica da quelle che possono essere trattate con la sola terapia medica. Con opportuni accorgimenti la metodica FFR può essere utilizzata per valutare qualsiasi tipo di lesione coronarica sia essa isolata o associata ad altre stenosi in vasi diversi, o nello stesso vaso. Da un punto di vista scientifico, la FFR ha dimostrato di essere sicura, efficace nella diagnosi e di garantire efficienza del percorso del paziente nel periodo di follow-up. Un utilizzo della FFR secondo le indicazioni delle linee guida internazionali assicura il trattamento ottimale per i pazienti con coronaropatia multivasale stabile.

RIASSUNTO

La determinazione della riserva frazionale di flusso (FFR) è considerata il gold standard per la valutazione funzionale delle stenosi coronariche nella malattia aterosclerotica coronarica stabile. L’utilizzo della FFR permette di guidare l’indicazione alla rivascolarizzazione sulla base della presenza di ischemia coronarica, con miglioramento degli outcome clinici e secondo parametri di costo-efficacia. Sia i cardiologi clinici che gli emodinamisti dovrebbero conoscere i vantaggi ed i potenziali limiti di questa tecnica. Scopo di questa rassegna è illustrare al cardiologo clinico le indicazioni e gli aspetti tecnici in grado di assicurare la corretta misurazione della FFR in differenti contesti di anatomia coronarica.

Parole chiave. Malattia coronarica; Procedura coronarica percutanea; Riserva frazionale di flusso.

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