La rivascolarizzazione coronarica
nella coronaropatia stabile: che cosa ci riserva il futuro
dopo il trial ORBITA?

Rasha Al-Lamee

Imperial College London, Londra, UK

I sorprendenti risultati del primo studio di comparazione della procedura di angioplastica (PCI) nella malattia coronarica stabile rispetto ad un trattamento placebo, hanno suscitato shock e stupore in tutto il mondo1. Per ogni reazione positiva che premiava l’innovazione e la coraggiosa metodologia sperimentale del trial c’erano altrettanti cardiologi interventisti pronti a sottolinearne limiti e difetti2-5.

Nessun trial è perfetto ed essendo questo il primo nel suo genere, gli autori avevano ben presenti molti dei suoi punti deboli6; in effetti, alcune di queste limitazioni si sono rese necessarie per la buona riuscita e per un’etica conduzione del trial stesso. C’era un motivo per cui, a 4 decenni dall’introduzione della PCI, non fosse ancora mai stato condotto alcun trial di confronto rispetto al placebo: questo è stato infatti uno studio assai difficile da portare a termine e, come primo nel suo genere, era necessario che fosse allo stesso tempo etico e fattibile.

Come autori del trial ci aspettavamo che lo studio avrebbe dimostrato un marcato beneficio della PCI rispetto al placebo dal punto di vista dei sintomi, e siamo rimasti altrettanto sorpresi quanto la restante comunità scientifica quando invece è emerso come il suo effetto fosse inferiore al previsto. In effetti, lo studio ORBITA ha dimostrato che mentre la PCI portava ad una riduzione significativa dell’entità dell’ischemia miocardica misurata mediante la riserva frazionale di flusso (FFR), l’instantaneous wave-free ratio” (iFR) e l’eco-stress con dobutamina, questa non si associava ad un significativo miglioramento rispetto al placebo nell’endpoint primario rappresentato del tempo di esercizio o della frequenza dell’angina1. Tuttavia, in una successiva analisi che ha preso in considerazione un endpoint non prespecificato e cioè l’endpoint binario di libertà da angina, la PCI ha consentito di risolvere l’angina e rendere asintomatici circa il 20% di pazienti in più rispetto al placebo (number needed to treat = 5)7. Inoltre, la severità dell’ischemia, valutata mediante FFR e iFR eseguite prima della randomizzazione, è risultata predittore del miglioramento dell’eco-stress con dobutamina dopo PCI rispetto al placebo, ma non delle variazioni del tempo di esercizio o dei sintomi7.

A questo punto si rende necessario analizzare le ragioni di questi risultati e le loro implicazioni cliniche. Per esaminare i risultati, come cardiologi interventisti, dobbiamo liberarci dai preconcetti sull’efficacia della PCI che si basano su una esperienza clinica e su studi clinici eseguiti in aperto.

A tutti coloro che criticano il trial ORBITA vorrei porre alcune domande:

1. La PCI nelle vostre mani è universalmente efficace nell’eliminare i sintomi o avete esperienza di pazienti che si ripresentano per recidiva di angina qualsiasi cosa voi facciate?

2. Pensate che il fatto di dire a un paziente che avete trattato efficacemente le sue lesioni coronariche serrate e che d’ora in avanti egli dovrebbe poter riprendere una vita normale ignorando eventuali ulteriori sintomi poiché è improbabile che si tratti di angina, possa incrementare il valore terapeutico della PCI?

3. Eseguite lo studio funzionale in tutte le lesioni coronariche anche in quelle angiograficamente severe come quella mostrata nella Figura 1?

4. Perché ci aspettiamo che la terapia farmacologica venga testata rispetto al placebo come standard clinico minimo, ma non abbiamo le stesse aspettative nei confronti delle procedure interventistiche rispetto ad outcome soggettivi?

Ora che abbiamo preso in considerazione queste questioni, possiamo iniziare ad analizzare i risultati.




Chiaramente, come in tutti i trial, anche ORBITA presenta dei limiti. Lo studio ORBITA ha arruolato una popolazione selezionata di pazienti con coronaropatia monovasale stabile che accedevano al laboratorio di Emodinamica attraverso i percorsi clinici standard. La scelta di arruolare pazienti con malattia coronarica monovasale è stata fatta al fine di garantire una rivascolarizzazione completa e di permettere che il modello dei fattori predittivi degli endpoint valutati pre-randomizzazione fosse semplice e non intricato da differenti livelli di ischemia in territori multipli. I pazienti sono stati scelti al fine di avere una popolazione rappresentativa del mondo reale, in cui tali pazienti vengono indirizzati a PCI e in cui la valutazione di FFR e iFR è raramente eseguita8.

Il livello della terapia con farmaci antianginosi era intensivo, cosa che potrebbe non essere facile da replicare nella pratica clinica e potrebbe aver attenuato il beneficio della PCI. La durata del follow-up è stata relativamente breve, di 6 settimane, per avere un intervallo di tempo sufficiente a valutare l’efficacia della PCI, ma non tale da limitare l’arruolamento e il trattenimento dei pazienti con grave malattia coronarica; non è noto se l’effetto placebo sarebbe diminuito col tempo.

Tuttavia, nonostante queste limitazioni, ciò che l’ORBITA ci ha mostrato è che la nostra comprensione della sintomatologia anginosa e dell’ischemia richiede ancora ulteriori studi. Sembra che, mentre la PCI riesca a migliorare l’ischemia valutata mediante tecniche non invasive e invasive, la relazione tra questo miglioramento e il cambiamento dei sintomi sia in realtà complessa e multifattoriale. Le modifiche dei sintomi e dei tempi di esercizio sono necessariamente generate sia da una reale componente fisica/organica sia da una componente placebo.

Spesso nella pratica clinica e nei trial clinici in aperto si osserva che per aumentare il beneficio della PCI il paziente deve essere informato che la sua stenosi coronarica è stata trattata. Infatti, dati più recenti dal nostro gruppo hanno chiaramente dimostrato l’impatto che questo aspetto, che appositamente era omesso nell’ORBITA, ha sugli endpoint sintomatici9. Molti hanno affermato che le dimensioni del campione dello studio ORBITA fossero troppo piccole. Tuttavia, uno studio in aperto, 10 volte più piccolo, condotto dal nostro gruppo senza braccio di controllo, ha dimostrato che l’entità del miglioramento del tempo di esercizio nella coorte ORBITA è maggiore quando la PCI è effettuata informando il paziente9. I risultati di questo studio in aperto ci mostrano che il fatto di dire a un paziente che la PCI ha funzionato e l’effetto training determinano un maggiore miglioramento sia dei sintomi che del tempo di esercizio. Nella nostra pratica clinica l’aggiunta di questo passaggio può migliorare il beneficio sintomatico di ciò che facciamo.

ORBITA non ha dimostrato che la PCI non funziona. Ciò che ha dimostrato è stato che la correlazione tra la risoluzione di una stenosi coronarica serrata e la remissione dei sintomi è più complessa di quanto potessimo pensare. Cosa ancor più importante, gli studi interventistici controllati con placebo sono preziosi e offrono ulteriori informazioni che possiamo sfruttare per guidare la nostra pratica clinica. ORBITA non è stato disegnato per mettere l’ultima parola sul tema della remissione dei sintomi in pazienti sottoposti a PCI per angina stabile. Certamente sono necessari ulteriori dati per consentirci di capire veramente questa patologia e ORBITA costituisce solo un passo verso questo obiettivo.

BIBLIOGRAFIA

1. Al-Lamee R, Thompson D, Dehbi HM, et al.; ORBITA Investigators. Percutaneous coronary intervention in stable angina (ORBITA): a double-blind, randomised controlled trial. Lancet 2018;391:31-40.

2. Brown DL, Redberg RF. Last nail in the coffin for PCI in stable angina? Lancet 2018;391:3-4.

3. Byrne RA. Fallout from the ORBITA trial - is angioplasty in a spin? EuroIntervention 2017;13:1253-4.

4. Chaitman BR, Mori Brooks M, Fox K, Luscher TF. ORBITA revisited: what it really means and what it does not? Eur Heart J 2018;39:963-5.

5. King SB 3rd. The ORBITA trial: what does it mean for practice? Cardiovasc Revasc Med 2018;19:397-8.

6. Al-Lamee R, Francis DP. Swimming against the tide: insights from the ORBITA trial. EuroIntervention 2017;13:e1373-5.

7. Al-Lamee R, Howard JP, Shun-Shin MJ, et al. Fractional flow reserve and instantaneous wave-free ratio as predictors of the placebo-controlled response to percutaneous coronary intervention in stable single-vessel coronary artery disease: physiology-stratified analysis of ORBITA. Circulation 2018 May 22. doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.118.033801 [Epub ahead of print].

8. Gotberg M, Cook CM, Sen S, Nijjer S, Escaned J, Davies JE. The evolving future of instantaneous wave-free ratio and fractional flow reserve. J Am Coll Cardiol 2017;70:1379-402.

9. Cook CM, Ahmad Y, Howard JP, et al. Impact of percutaneous revascularization on exercise hemodynamics in patients with stable coronary disease. J Am Coll Cardiol 2018;72:970-83.