SARS-CoV-2 e la comunità scientifica

Giuseppe Di Pasquale

Editor, Giornale Italiano di Cardiologia


Per nessun’altra emergenza sanitaria come per la pandemia da SARS-CoV-2 nella storia moderna della medicina c’era mai stata una mobilitazione così ampia della comunità medica scientifica in termini di rapida condivisione delle conoscenze sulle riviste mediche, iniziative educazionali promosse dalle società scientifiche, studi clinici e proposte organizzative. Tutto questo si è verificato a livello globale, mentre invece le modalità di risposta alla drammatica emergenza sanitaria sono purtroppo spesso andate in ordine sparso nel mondo, in Europa e in Italia. Al contrario, mai come in questo momento la comunità scientifica si è sentita unita rafforzando il senso di appartenenza ad una casa comune.

LE PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE

La prima descrizione della nuova malattia da coronavirus è stata pubblicata nel New England Journal of Medicine il 24 gennaio 20201. Si tratta della descrizione da parte di medici del Chinese Center of Disease Control and Prevention dei primi 3 casi di severa polmonite da nuovo coronavirus (2019-nCoV) ricoverati a Wuhan, Cina il 27 dicembre 2019.

Da questa prima pubblicazione ad oggi 6 aprile 2020 gli articoli pubblicati sula stessa rivista sono già 49. Attraverso una ricerca su PubMed inserendo la parola chiave sars-cov 2 al 6 aprile 2020 risultano 1089 le pubblicazioni sul tema; 97 sono di autori italiani. Gli articoli affrontano tutti gli aspetti della malattia SARS-CoV-2 e da parte di un panel di 36 esperti di 12 paesi che hanno fatto una revisione sistematica della letteratura sono state appena pubblicate linee guida per la gestione dei pazienti critici contenenti 54 raccomandazioni di differenti livelli di evidenza stabiliti con il metodo GRADE2. Numerose sono le pubblicazioni relative alle interazioni COVID-19 e inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone, la più recente e tra le più autorevoli pubblicata il 30 marzo3.

Nel suo piccolo il Giornale Italiano di Cardiologia ha cercato di offrire ai propri lettori un aggiornamento tempestivo con due articoli sulle implicazioni cardiologiche del COVID-194 e su ACE-inibitori, sartani e sindrome respiratoria acuta da coronavirus 25 pubblicati online l’11 ed il 21 marzo. Altri articoli sono in pubblicazione nei prossimi giorni.

Nei siti delle principali riviste mediche, quali New England Journal of Medicine, Lancet, JAMA, Annals of Internal Medicine, European Heart Journal, sono state inoltre create delle sezioni (library, resource center) dove sono raccolti e resi disponibili con libero accesso pubblicazioni e altro materiale educazionale relativo a SARS-CoV-2.

È a tutti noto che il processo di pubblicazione di un articolo scientifico è complesso e comporta tempi lunghi dovendo giustamente rispettare l’iter della “peer review”, dell’editing e di ripetuti round di revisione. Se questo iter tradizionale fosse avvenuto per le pubblicazioni sulla SARS-CoV-2 saremmo ancora in attesa della comparsa del primo articolo. La straordinaria accelerazione dell’iter editoriale costituisce un gesto di grande responsabilità dell’editoria scientifica nei confronti dei medici e dei pazienti. A tale riguardo l’Editor-in-Chief del New England Journal of Medicine in un editoriale del 27 gennaio 2020 comunicava la nuova policy che sarebbe stata applicata per tutti gli articoli COVID-19 sottomessi al giornale: un processo editoriale accelerato ai fini di una rapida pubblicazione, l’accesso gratuito alle pubblicazioni sul sito del giornale e, nell’impossibilità di pubblicare tutti i lavori ricevuti, l’opportunità offerta agli autori di una rapida trasmissione ad altri giornali dei manoscritti inclusivi dei commenti dei revisori6.

Sembrano trascorsi anni luce rispetto alla catastrofica pandemia dell’influenza “spagnola” esplosa negli Stati Uniti nella primavera del 1918 e da lì diffusa nel resto del mondo. Il primo articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine è solo del 26 settembre 19187 e nell’intero anno 1918 vennero pubblicati solo 5 articoli originali, 7 editoriali ed una lettera per un totale di appena 30 pagine. Tornando al nostro secolo non c’è confronto tra il numero di articoli pubblicati sulle epidemie SARS-CoV del 2002 o MERS-CoV del 2012 rispetto alla quantità di quelli a tutt’oggi pubblicati sulla pandemia SARS-CoV-2.

LE INIZIATIVE EDUCAZIONALI

Da molti è stato sottolineato che l’emergenza coronavirus ci ha colto impreparati. Questo vale per tutti, ma in modo particolare per i cardiologi che non hanno mai coltivato uno specifico interesse per le interazioni malattie infettive-apparato cardiovascolare e che oggi sono pesantemente coinvolti nella gestione dei pazienti con SARS-CoV-2.

Numerose sono le iniziative educazionali che subito si sono rese disponibili per l’aggiornamento dei medici e del cardiologo in particolare. In questo è stato meritorio il ruolo svolto dalle società scientifiche internazionali e nazionali. L’American College of Cardiology (ACC) è stata probabilmente la prima società scientifica che ha pubblicato informazioni relative alle implicazioni cardiologiche del COVID-19 con un primo bollettino pubblicato il 13 febbraio 2020 ed un update pubblicato il 6 marzo. La Società Europea di Cardiologia (ESC) ha aperto sul proprio sito un ampio spazio denominato “COVID-19 and Cardiology” nel quale sono raccolti podcast sulla gestione dei pazienti cardiologici durante la pandemia (9 video già pubblicati al 6 aprile) interviste, articoli pubblicati sullo European Heart Journal, position statement e ulteriore materiale informativo. Il sito theheart.org/Medscape Cardiology è un altro dei più ricchi di informazioni su COVID-19 e cardiologia.

A livello nazionale le due principali società cardiologiche, l’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) e la Società Italiana di Cardiologia (SIC), hanno prodotto importanti documenti scaricabili dal sito istituzionale. L’ANMCO ha finora prodotto tre documenti: una guida clinica cardiovascolare; una guida sulla consulenza cardiologica ed un documento sull’organizzazione della rete per le sindromi coronariche acute durante l’emergenza pandemica. La SIC ha pubblicato una guida clinica COVID per cardiologi insieme ad un sintetico utile documento sulle interazioni farmacologiche COVID-19 ed intervallo QT. Anche l’Italian Federation of Cardiology (IFC) ha creato sul proprio sito un utile link per accedere ai portali delle principali società cardiologiche nazionali e internazionali che hanno realizzato sezioni dedicate a COVID-19. Una sezione COVID-19 è anche presente sul sito cardioinfo.it che raccoglie ad oggi oltre 10 interviste e utili news.

Documenti specifici sono stati inoltre prodotti dalle società scientifiche di settore. La Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE) ha pubblicato un position paper contenente le raccomandazioni da seguire per gli operatori di emodinamica nella gestione dei pazienti con diagnosi o sospetta diagnosi di infezione da COVID-19. Analogamente la Società Italiana di Ecocardiografia e Cardiovascular Imaging (SIECVI) ha prodotto un documento ad uso degli operatori di ecografia cardiovascolare in corso di pandemia COVID-19. Un documento sull’imaging integrato nel percorso del paziente con COVID-19 a cura dell’Area Cardioimaging dell’ANMCO è in pubblicazione sul Giornale Italiano di Cardiologia. Altre società scientifiche stanno approntando ulteriori specifici documenti. I documenti delle società scientifiche cardiologiche hanno costituito un utile riferimento per la stesura di indicazioni per la gestione dei pazienti cardiologici durante la pandemia emanate da diverse regioni con la collaborazione dei professionisti cardiologi, come ad esempio in Emilia Romagna8.

Sicuramente da questa crisi ne esce rinforzato, anche nei confronti delle istituzioni sanitarie e dei pazienti, il ruolo delle società scientifiche, in particolare quello di garante della corretta informazione per i cittadini. Gli statement delle diverse società scientifiche internazionali e nazionali a non interrompere la terapia in atto con ACE-inibitori e sartani durante la pandemia COVID-19 hanno costituito un messaggio autorevole e tranquillizzante per milioni di pazienti in trattamento per l’ipertensione o lo scompenso cardiaco.

In aggiunta ai documenti di indirizzo l’offerta formativa resa disponibile dalle società scientifiche è stata arricchita da aggiornamenti, quali ad esempio le presentazioni da parte di colleghi della Chinese Society of Cardiology realizzate dalla SIC, interviste, filmati, webinar e podcast.

Una delle conseguenze della drammatica emergenza sanitaria è la cancellazione di numerosi congressi e corsi di aggiornamento internazionali, nazionali e regionali. A questo proposito encomiabile è la straordinaria iniziativa dell’ACC che alla fine di marzo ha svolto il proprio congresso annuale in modo del tutto virtuale (ACC.20/WCC Virtual) offrendo la possibilità di assistere via web ad un significativo numero di sessioni, compresa la presentazione in diretta delle sessioni di “Late-Breaking Clinical Trials”, la vista on demand di 3186 comunicazioni orali e oltre 400 e-poster e perfino la visita virtuale all’esposizione dell’industria farmaceutica ed elettromedicale (Virtual Expo).

GLI STUDI CLINICI

Non disponendo né di un vaccino né di terapie specifiche per la SARS-CoV-2 le speranze dei medici e dei pazienti sono rivolte ai numerosi farmaci già utilizzati per altre patologie infettive virali e non, proposti dai vari ricercatori nel mondo. Iniziative sparse sull’impiego di singoli farmaci in casistiche limitate di pazienti e senza un gruppo di controllo difficilmente potrebbero portare a risultati attendibili e soprattutto fruibili. La somministrazione di farmaci off-label, farmaci per uso compassionevole e studi non controllati durante una pandemia potrebbero inoltre scoraggiare medici e pazienti a partecipare a trial clinici randomizzati che sono i soli che possono portare ad un avanzamento delle conoscenze9.

Allo scopo di superare questi limiti, la comunità scientifica internazionale si è subito attivata per fare partire in tempi brevi studi clinici randomizzati di fase 3 di confronto tra le più accreditate strategie farmacologiche, incluso un innovativo trial sponsorizzato dal National Institutes of Health che prevede un aggiornamento dinamico del protocollo (trial adattativo) con la possibile introduzione nel corso dello studio di nuovi bracci di trattamento o l’interruzione di alcuni bracci che in un’analisi ad interim si dimostreranno non efficaci trial10.

Formidabile è stato lo sforzo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che in tempi brevissimi ha promosso un megatrial mondiale denominato SOLIDARITY che intende testare quattro tra le terapie più promettenti nella lotta al nuovo coronavirus: il farmaco antivirale remdesevir sviluppato contro l’ebola; clorochina e idrossiclorochina, trattamento per la malaria; ritonavir/lopinavir, combinazione di farmaci contro l’infezione da HIV e l’associazione di questi ultimi con l’interferone beta. Lo studio è partito il 26 marzo 2020 ed il primo paziente è stato arruolato in Norvegia il 29 marzo. È auspicabile che anche l’Italia riesca a partecipare a questo studio. Altrettanto poderoso è lo sforzo dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) che in tempi brevi ha finora dato l’autorizzazione per la partenza di 7 studi clinici nazionali di intervento farmacologico. I protocolli degli studi sono disponibili in un’apposita sezione del sito AIFA (https://www.aifa.gov.it/sperimentazioni-cliniche-covid-19).

Le caratteristiche comuni a questi studi sono quelle della semplificazione delle procedure di arruolamento, controlli, schede raccolta dati (CRF) e follow-up. Si tratta di una sorta di ritorno alla filosofia del glorioso primo studio GISSI nel quale l’endpoint primario era semplicemente la mortalità e le CRF da compilare erano limitate a poche pagine. Chiunque abbia esperienza di studi clinici conosce bene i tempi lunghi necessari per la stesura dei protocolli, il reclutamento dei centri, le “good clinical practice” (GCP), le pratiche regolatorie e la complessità di conduzione degli studi. L’attuale contingenza ha imposto, pur nel rispetto del rigore scientifico, un cambio di paradigma senza il quale non sarebbe stato possibile avviare studi clinici nel corso di una drammatica emergenza sanitaria come quella che stiamo vivendo. La centralizzazione di tutte le proposte di studi clinici presso un unico comitato etico, quello dell’IRCCS per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, costitui­sce un altro potente meccanismo di facilitazione della ricerca.

In aggiunta ai trial clinici randomizzati di intervento esiste un grande fermento di proposte di studi osservazionali basati su dati clinici, di laboratorio o amministrativi. Anche per questi studi le procedure regolatorie hanno trovato un iter facilitato e in molti comitati etici locali è stata istituita una procedura “fast track” per l’approvazione di questi studi. Soltanto nel comitato etico di Area Vasta Emilia Centro (AVEC) abbiamo valutato e approvato 12 studi nella seduta di metà marzo svolta in via telematica.

La pandemia da coronavirus comporterà anche delle criticità per gli studi clinici non COVID in corso o che stavano per iniziare11. A questo proposito due documenti della European Medicines Agency (EMA) e della Food and Drug Administration (FDA) forniscono utili indicazioni e raccomandazioni per la gestione dei trial clinici durante la pandemia COVID-1912,13.

GLI INSEGNAMENTI PER IL FUTURO

È ormai diventato uno slogan ricorrente l’affermazione che quando saremo usciti da questa tragedia planetaria niente potrà (né dovrà) essere più come prima. Penso che questo sia profondamente vero, nel bene e nel male, e che possa valere anche per l’ambito scientifico. Da questa dolorosa esperienza anche a livello di comunità professionale cardiologica molti degli insegnamenti acquisiti durante la crisi potrebbero tradursi in utili ricadute nell’immediato futuro. Le crisi possono infatti in qualche modo costituire una finestra di opportunità.

Provo ad immaginarne soltanto alcune: il libero accesso alle pubblicazioni scientifiche, la facilitazione della ricerca clinica collaborativa, la crescita della formazione a distanza (FAD), l’implementazione della telemedicina.

Il libero accesso (open access) alle pubblicazioni scientifiche è da tempo oggetto di dibattito all’interno della comunità scientifica. La spinta verso la pubblicazione dei manoscritti in “open access” è portata avanti da un consorzio di istituti di ricerca prevalentemente europei denominato Plan S14. Il tema è stato oggetto di un ampio dibattito anche nell’Editors’ Network Meeting svoltosi lo scorso 3 settembre a Parigi durante il congresso ESC15. Si tratta di un argomento che presenta molte complessità e che esula dal tema di questo editoriale. L’auspicio comunque è quello che, come è avvenuto in occasione della pandemia COVID-19, in futuro possa essere garantito dalle principali riviste scientifiche un accesso gratuito ad articoli che possono avere un impatto significativo in termini di miglioramento della qualità delle cure.

Anche per quanto riguarda la ricerca clinica diversi sono gli insegnamenti che possono essere tratti dalla crisi coronavirus. Tra questi la proposta di una possibile valutazione degli studi clinici multicentrici da parte di un singolo comitato etico, quando adesso invece lo stesso studio clinico da svolgere in 100 cardiologie deve essere sottoposto all’approvazione da parte di 100 comitati etici locali con il dispendio di tempo e di costi che ne consegue. Un altro input è quello dell’opportunità di tornare a svolgere studi clinici che abbiano procedure di conduzione meno laboriose, con la raccolta dei dati essenziali per l’obiettivo che si intende perseguire. In pratica per la cardiologia un “back to the future” ai vecchi studi GISSI16. Infine la possibilità di pensare a trial con disegni più versatili, veloci e attenti all’evoluzione degli studi in corso applicando ad esempio la metodologia adattativa. La necessità, mai come in questo momento fortemente sentita, di raccogliere informazioni cliniche provenienti da ampie casistiche di pazienti a livello internazionale richiama inoltre l’importanza dell’adesione alla raccolta sistematica dei dati in ampi registri collaborativi come ad esempio quelli della EuroHeart Initiative dell’ESC17.

La FAD probabilmente non ha finora pienamente sfruttato le sue potenzialità. Spesso la FAD ha rappresentato solo lo strumento per contribuire ad assolvere al debito formativo annuale dei crediti ECM. È evidente che congressi, meeting e corsi di aggiornamento costituiscono non solo uno strumento formativo ma anche l’opportunità per intessere relazioni professionali con colleghi della stessa disciplina o specialità di settore, interagire con i relatori e docenti e, soprattutto per i più giovani, l’occasione per potere presentare in comunicazioni o poster il frutto della propria ricerca clinica svolta in ospedale. Esperienze positive come quella dell’ACC 2020 dimostrano che è possibile con le moderne tecnologie svolgere non solo piccoli meeting ma anche congressi di ampie dimensioni in modalità telematica. Non è certamente da perseguire la sostituzione delle iniziative formative e congressuali tradizionali con la modalità virtuale, ma probabilmente alcune iniziative residenziali potrebbero essere utilmente sostituite dal web. Questo anche in considerazione delle prevedibili ricadute economiche della pandemia da coronavirus e della difficoltà degli spostamenti che renderà problematica l’organizzazione di molti eventi congressuali.

Nel corso della pandemia sono state emanate raccomandazioni a sostituire nei pazienti con malattia cardiovascolare stabile le visite cardiologiche di routine con consulti telefonici o con la telemedicina allo scopo di evitare possibili infezioni nosocomiali. A questo riguardo molte Cardiologie si sono trovate in difficoltà dal momento che i programmi di telemedicina non sono ancora sufficientemente diffusi. L’attuazione di questi programmi in Italia è finora avvenuta a macchia di leopardo senza risorse dedicate, con gli ostacoli legati ad una rigida legislazione sulla privacy, alle problematiche medico-legali e alla mancanza di una tariffazione ministeriale come per qualsiasi prestazione cardiologica. Anche in una realtà tecnologicamente avanzata come gli Stati Uniti è stata sottolineata in questo momento la necessità di maggiori investimenti per la telemedicina18. È necessario che nel nostro Paese, facendo tesoro dell’esperienza COVID-19, possano essere previsti finanziamenti finalizzati per questa importante funzione ed anche un suo inserimento nell’elenco dei livelli essenziali di assistenza (LEA).

È infine auspicabile che in un non lontano futuro l’intelligenza artificiale, le cui applicazioni già nel corso di questa emergenza vengono utilizzate per la diagnosi ed il monitoraggio dell’infezione COVID-19, possa accrescere il suo ruolo per aiutarci a migliorare i nostri processi diagnostici e terapeutici19.

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