COVID-19 e coronaropatia: uso selettivo
e collaborativo delle risorse durante le crisi sanitarie

Emmanuel Villa1, Matteo Saccocci1, Antonio Messina1, Diego Maffeo2, Antonino Pitì3,
Federico Bianchetti4, Claudio Cuccia5, Giovanni Troise1

1Cardiochirurgia, Fondazione Poliambulanza, Brescia

2Emodinamica, Fondazione Poliambulanza, Brescia

3Cardiologia, Ospedale Bolognini, Seriate (BG)

4Cardiologia, Ospedale di Manerbio (BS)

5Cardiologia e Dipartimento Cardiovascolare, Fondazione Poliambulanza, Brescia

The COVID-19 epidemic is one of the most demanding challenges for the public health organizations. The Lombardy region faced firstly this outbreak in Italy and recorded rapidly a saturation of intensive care and internal medicine beds. Consequently, this lack of technical and human resources, together with people mobility restriction to contain virus spreading, determined the interruption of elective surgical and interventional cardiovascular procedures. In addition, the emergency track of acute patients has been rewritten due to limited resources and viral co-infection (pre- or in-hospital).

Herein, we describe two cases of acute coronary syndrome with severe coronary artery disease and an indication for coronary artery bypass grafting. The first patient, COVID-19 positive, was treated with transcatheter technique due to symptom instability and underwent temporary circulatory support without intubation. The second patient received an intra-aortic balloon pump and was then transferred, in accordance with government emergency provisions, to a hub hospital to undergo off-pump coronary artery bypass grafting and short intensive care unit stay. These two apparently similar cases were treated differently according to the moving epidemiological and organizational conditions.

Key words. Coronary artery disease; COVID-19; Heart-assist devices; Intra-aortic balloon pumping; Percutaneous coronary intervention; Coronary artery bypass grafting.

INTRODUZIONE

L’infezione da COVID-19 è uno degli eventi più significativi dal dopoguerra ad oggi per l’impatto epidemiologico ed organizzativo sul sistema sanitario italiano. Per la Lombardia, dove sono stati identificati i primi focolai, tale epidemia rappresenta sicuramente la più importante emergenza dalla regionalizzazione dei sistemi sanitari.

Le malattie cardiovascolari, in particolare la coronaropatia, si confermano essere fattori di rischio per mortalità nei pazienti che contraggono tale infezione1 e sono anche patologie che spesso richiedono molto impegno tecnologico ed organizzativo, soprattutto in caso di sindromi acute. In un momento caratterizzato dall’esaurimento delle risorse disponibili di tipo intensivo (respiratori, posti letto, personale), una sindrome aortica grave come la dissecazione o una sindrome coronarica acuta complicata (o con quadro anatomico complesso) pongono degli interrogativi su come usare le poche risorse intensive a disposizione. Si rende dunque ancor più necessario personalizzare i percorsi di cura nei modi, nei tempi e nei luoghi.

Di seguito presentiamo due casi di coronaropatia plurivasale con stenosi del tronco comune della coronaria sinistra in pazienti residenti in Lombardia orientale, zona tra le più interessante dall’epidemia COVID-192. Questi casi, apparentemente molto simili dal punto di vista angiografico, sono stati invece trattati differentemente in relazione al variare delle condizioni infettive del paziente e del quadro organizzativo delle strutture che li avevano in cura.

DESCRIZIONE DEI CASI

Caso 1

Un uomo di 70 anni, residente in provincia di Bergamo, accusava da alcuni mesi angina da sforzo. Come fattori di rischio cardiovascolare si registravano familiarità e tabagismo mentre in anamnesi si evidenziava una neoplasia vescicale trattata.

A fine febbraio 2020, essendosi aggravata la sintomatologia, il paziente accedeva ad un pronto soccorso di un ospedale con dipartimento d’emergenza di I livello. Dato il riscontro di alterazioni della ripolarizzazione in sede anterolaterale, veniva sottoposto ad esame coronarografico che evidenziava una malattia plurivasale con stenosi del 95% del tronco comune distale della coronaria sinistra, dominanza ed occlusione cronica della coronaria destra (Figura 1).

Il decorso clinico nel primo reparto che aveva preso in carico il paziente era stato caratterizzato da assenza di angor, di febbre e di altri sintomi/segni suggestivi di infezione. In considerazione di un SYNTAX score 31 e di caratteristiche cliniche idonee al bypass aortocoronarico (BPAC) (target, condotti, frazione di eiezione, assenza di copatologie) si è optato per una rivascolarizzazione miocardica di tipo chirurgico con EuroSCORE II 1.37% (classe di raccomandazione I, livello di evidenza A)3.

Il paziente è stato pertanto trasferito presso un ospedale con cardiochirurgia dove, programmato l’intervento di quadruplice BPAC al termine del wash-out da ticagrelor, è stato sottoposto agli esami di routine. Un picco febbrile di 39°C associato a considerazioni epidemiologiche e cliniche (radiografia del torace positiva per ispessimento dell’interstizio peribroncovasale, lieve piastrinopenia con neutrofilia e linfocitopenia relative, lieve incremento della proteina C-reattiva) hanno indotto a far eseguire il tampone nasale per la ricerca del COVID-19 che è risultato positivo2,4. Il consulente infettivologo non ha prescritto terapia antivirale data la paucisintomaticità. Il paziente è stato quindi sottoposto ai protocolli di isolamento5 procrastinando l’intervento.

Nel frattempo il contesto epidemiologico del territorio circostante cambiava repentinamente e si assisteva ad una escalation di casi di insufficienza respiratoria richiedenti conversione di interi reparti a degenze infettivo-pneumologiche ed esaurimento dei posti convenzionali ed addizionali di terapia intensiva. Tra i posti letto riconvertiti vi erano quelli deputati ai pazienti post-cardiochirurgici. Intanto anche il quadro clinico del paziente si modificava per ripresa di lieve piressia e fugace discomfort toracico. Stante la limitazione ai ricoveri in terapia intensiva di tutta la zona, data la comparsa di prodromi di instabilizzazione cardiologica e di un quadro infettivo subdolo, sono stati valutati in Heart Team allargato le seguenti strategie alternative:

– terapia medica antianginosa, non praticabile però per tendenza all’ipotensione dovuta alla febbre, e terapia antivirale, ancora off-label soprattutto in tale contesto;

– trasferimento in altra cardiochirurgia extra-regione, ipotesi scartata perché contraria al principio del contenimento dell’epidemia;




– esecuzione dell’intervento con un percorso fast-track, basato sulla tecnica off-pump per ridurre il rischio di una disfunzione polmonare da circolazione extracorporea6 potenzialmente aggravabile dall’infezione COVID-19; il rischio addizionale di esacerbare una polmonite latente solo con l’intubazione e l’anestesia generale, seppure con una vasta esperienza in questo tipo di chirurgia7, è stato considerato troppo elevato;

– rivascolarizzazione per via percutanea, tralasciando la riapertura dell’occlusione cronica della coronaria destra e focalizzandosi solo sulla coronaria sinistra mediante angioplastica/stenting del tronco comune “non protetto”, ma con il vantaggio di evitare l’anestesia generale rispetto al BPAC.

È stata scelta quest’ultima strategia, pianificando un’assistenza temporanea al circolo mediante pompa assiale trans­valvolare aortica (Impella CP™, Abiomed Europe, Aachen, Germania) (Figura 2), minimizzando così il rischio di complicazioni, di assistenza ventilatoria e di cure intensive post-procedurali.

Il decorso postoperatorio è stato caratterizzato da ripresa di febbre, ma senza compromissione respiratoria né clinica né radiologica. È stato osservato un completo recupero della conta piastrinica che ha permesso la regolare somministrazione di ticagrelor ed aspirina.




Il paziente è stato dimesso in tredicesima giornata post-procedurale, al termine di un ciclo di antibiotici e con prescrizione di isolamento domiciliare fino a negativizzazione di due tamponi nasofaringei consecutivi.

Caso 2

Un uomo di 69 anni, residente in provincia di Brescia, aveva in corso accertamenti per dispnea da sforzo ed affaticabilità insorte da alcuni mesi. In anamnesi risultavano ipertensione arteriosa, tabagismo attivo e moderato consumo alcolico. La comparsa nelle ultime settimane di dolore toracico e di un episodio di angor protratto lo hanno portato ad accedere ad un pronto soccorso di un dipartimento d’emergenza di I livello.

L’ECG d’ingresso era compatibile con un infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST in stadio II, mentre l’ecocardiogramma dimostrava acinesia dell’apice e della parete inferiore con funzione ventricolare sinistra ai limiti inferiori. Sottoposto in urgenza a coronarografia, veniva riscontrata una malattia trivasale con occlusione della coronaria destra (riabitata per via omo- ed eterocoronarica), stenosi 85% distale del tronco comune con successiva dilatazione aneurismatica alla triforcazione, circonflessa occlusa al tratto medio (Figura 3).

In considerazione della gravità delle lesioni è stato posizionato il contropulsatore aortico e, considerato il quadro anatomico sfavorevole al trattamento transcatetere, il paziente è stato posto in valutazione per intervento cardiochirurgico (SYNTAX score 26, EuroSCORE II 4.43%)3,8. Nel frattempo, mentre si stava progettando questo percorso assistenziale, la situazione sanitaria regionale era giunta ad un livello estremo di criticità con indisponibilità di posti letto in terapia intensiva. Grazie all’attivazione di un protocollo “hub and spoke” a livello regionale per riorganizzazare le risorse disponibili (concentrando in alcuni poli ospedalieri il trattamento di patologie urgenti per liberare in altri poli personale e mezzi per la cura delle insufficienze respiratorie), si è agito di conseguenza trasferendo il paziente nel centro designato dal nuovo protocollo9. Qui il paziente è stato trattato con duplice BPAC a cuore battente e con l’uso di condotti arteriosi (gli altri vasi non erano idonei a rivascolarizzazione dato il riscontro intraoperatorio di calcificazioni aortiche e coronariche). Questa strategia ha permesso un rapido transito del paziente in terapia intensiva ed un limitato consumo di risorse.

La degenza si è svolta nei settori riservati ai pazienti COVID-19 negativi, è stato necessario applicare un sistema a pressione negativa per la guarigione della ferita sternotomica e l’ecocardiogramma postoperatorio ha documentato una normalizzazione della funzione ventricolare sinistra.

DISCUSSIONE

L’equilibrio di un sistema sanitario viene messo a dura prova in caso di eventi che interessano contemporaneamente un elevato numero di cittadini o che richiedono risorse ingenti (es. necessità di terapia intensiva e/o di dispositivi costosi). La pandemia da COVID-19 presenta entrambe queste caratteristiche ed è inoltre caratterizzata da una diffusione estremamente rapida, tanto che sono state necessarie misure nazionali restrittive della libertà di circolazione.

L’Italia, insieme alla Cina, ha subito ad oggi l’impatto più violento con questa epidemia e la Lombardia, in particolare le provincie di Lodi, Cremona, Bergamo e Brescia, sono state le zone più colpite2,10. L’assenza di posti disponibili in terapia intensiva e la carenza di personale hanno messo in discussione i percorsi di cura convenzionali dei pazienti cardiopatici. In particolare nel primo caso clinico, l’infezione virale ha ulteriormente amplificato le difficoltà di cura e quelle organizzative. La scelta iniziale di procrastinare l’intervento di BPAC alla risoluzione dell’infezione è stata poi rivista alla luce della comparsa di prodromi di instabilizzazione cardiaca. Pertanto si decise per la rivascolarizzazione transcatetere che, seppur incompleta, avrebbe avuto il vantaggio di minimizzare il rischio di insufficienza respiratoria e di ricorrere alla terapia intensiva. La scelta di un dispositivo periprocedurale di supporto al circolo, seppur costosa in questi tempi di reindirizzamento delle risorse, è stata però premiante perché ha permesso di portare a termine l’angioplastica senza instabilizzazione emodinamica. Anche nel secondo caso, seppur con paziente intubato, si è puntato a preservare la funzione polmonare eseguendo l’intervento senza la circolazione extracorporea e l’occupazione del letto di terapia intensiva è stata di sole poche ore.




Quest’ultimo caso serve soprattutto a dimostrare come un percorso articolato ad “hub and spoke” permetta di gestire meglio le risorse umane ed economiche, la cui carenza in situazioni di grave emergenza è sempre da prevedere. È innegabile che creare e far funzionare una rete tra ospedali, soprattutto non appartenenti alla stessa azienda oppure giuridicamente diversi, è sicuramente molto impegnativo, ma è certamente fattibile. Non solo, una rete tra strutture ospedaliere è auspicabile in quanto rappresenta un elemento di sicurezza per il cittadino bisognoso di cure, soprattutto quelle urgenti.

RIASSUNTO

La pandemia COVID-19 costituisce una sfida significativa per i sistemi sanitari. La Lombardia, dove sono stati identificati i primi focolai italiani, si è per prima confrontata con tale emergenza che ha praticamente assorbito la totalità dei posti disponibili delle terapie intensive e dei reparti internistici. La conseguente carenza di risorse tecniche ed umane, unitamente alle restrizioni della mobilità per contenere la pandemia, hanno richiesto la sospensione delle cure elettive chirurgiche ed interventistiche per i malati cardiovascolari. Anche il percorso terapeutico dei quadri acuti è stato ridisegnato dal variare delle risorse disponibili e dall’eventuale sovrimposizione dell’infezione virale.

Descriviamo due casi di sindrome coronarica acuta con grave coronaropatia ad indirizzo chirurgico. Il primo, essendo risultato COVID-19 positivo, è stato invece trattato per via transcatetere con un supporto temporaneo al circolo e non ha richiesto terapia intensiva; il secondo è stato stabilizzato con contropulsatore aortico, riferito ad un centro hub in accordo con i provvedimenti regionali dell’emergenza e poi operato a cuore battente con rapido transito in terapia intensiva. Questi casi, apparentemente simili dal punto di vista angiografico, sono stati trattati differentemente in relazione al variare delle condizioni cliniche del paziente ed al mutare del quadro epidemiologico ed organizzativo delle strutture che li avevano in cura.

Parole chiave. Angioplastica coronarica; Bypass aortocoronarico; COVID-19; Contropulsazione aortica; Dispostivi di assistenza al circolo; Malattia coronarica.

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