Strategie per la gestione della sotto-espansione
dello stent

Andrea Erriquez1, Rita Pavasini1, Gianluca Campo1,2

1U.O. Cardiologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara, Cona (FE)

2Maria Cecilia Hospital, GVM Care & Research, Cotignola (RA)

Stent under-expansion represents a negative prognostic factor, because of the risk to develop intrastent restenosis and stent thrombosis. It is often due to excessive calcium burden at the target lesion level. The list of devices available for the treatment of stent under-expansion includes super high-pressure non-compliant (NC) balloons, excimer laser and intravascular lithotripsy.

NC OPNTM balloons (SIS Medical AG, Winterthur, Switzerland) reach much higher pressures than those of standard NC balloons (up to 35 atm), so they are able to overcome the resistance given by the calcific plaque. The excimer laser catheter instead generates ultraviolet light pulses with low penetration power. This one fragments the atherosclerotic material surrounding the implanted stent. This technology has proven to be extremely effective, however it requires specific operator experience to reduce the risk of serious complications. Intravascular lithotripsy is the most recent method, and it has shown very promising results so far. The Shockwave Medical device (S-IVL; Shockwave Medical Inc, Santa Clara, CA, USA) emits sound waves that act selectively on the calcific component, breaking it up and making the vessel more compliant.

Key words. Excimer laser angioplasty; Intravascular lithotripsy; Stent under-expansion; Super high-pressure non-compliant balloons.

CAUSE E IMPATTO CLINICO DELLA
SOTTO-ESPANSIONE

La sotto-espansione dello stent rappresenta uno dei principali predittori di failure del dispositivo in quanto può determinare restenosi intrastent e trombosi di stent, con un conseguente notevole impatto clinico per il paziente in termini di outcome1-5.

I principali fattori che determinano una sotto-epansione dello stent sono: a) non corretto sizing dello stent, il quale sarà sottodimensionato rispetto al vaso target, b) una inadeguata post-dilatazione dello stent, e c) la presenza di severe calcificazioni a livello della lesione target5,6 (Figura 1). Quest’ultima in particolare rappresenta la causa più frequente, dal momento che non è sempre agevole identificare angiograficamente la presenza di calcio a livello della lesione da trattare né stimarne la severità. Nella maggior parte dei casi il fenomeno della sotto-espansione di stent può essere accuratamente prevenuto con una corretta pianificazione della strategia interventiva, in particolare mediante l’utilizzo di metodiche di imaging intracoronarico quali l’ultrasonografia intravascolare (IVUS) e la tomografia a coerenza ottica (OCT), che consentono all’operatore innanzitutto di stimare in maniera più precisa, rispetto alla mera valutazione angiografica, il diametro del segmento da trattare su cui calibrare il sizing dello stent da impiantare, e in secondo luogo di apprezzare l’eventuale presenza di placche calcifiche a livello della lesione target, in modo tale da poter procedere, prima dell’impianto dello stent, ad un’adeguata preparazione della lesione stessa al fine di garantire una successiva ottimale espansione ed apposizione dello stent7,8. L’angioplastica guidata dall’imaging intracoronarico si traduce non solo in un miglior risultato finale della procedura, ma anche in un miglioramento significativo degli outcome9. Tuttavia, non è sempre possibile riuscire a prevenire il fenomeno della sotto-espansione di stent e di conseguenza il cardiologo interventista deve essere in grado di gestire questo tipo di problematica.

TRATTAMENTO DELLA SOTTO-ESPANSIONE
DI STENT

Le armi attualmente a disposizione in un laboratorio di emodinamica per la gestione ed il trattamento della sotto-espansione dello stent non sono purtroppo numerose e, spesso, richiedono una certa expertise da parte dell’operatore per riuscire ad ottenere un risultato favorevole e senza incorrere in complicanze procedurali. Più precisamente i dispositivi utilizzabili in questo scenario clinico sono sostanzialmente tre: i palloni non complianti (NC) ad altissima pressione (palloni NC OPN), il laser ad eccimeri e la litotrissia intravascolare (Tabella 1).

Palloni ad alta pressione NC OPN

Una delle opzioni a disposizione del cardiologo interventista è rappresentata dai palloni NC OPN (SIS Medical AG; Winterthur, Svizzera). Nel dettaglio, si tratta di palloni NC sviluppati in maniera tale da garantire pressioni di gonfiaggio molto più elevate (a 35 atm) rispetto agli abituali palloni NC utilizzati per la preparazione delle lesioni e per l’ottimizzazione dello stenting coronarico.




Caratteristiche tecniche

In particolare, questo tipo di dispositivi (Figura 2) sfrutta una tecnologia a doppio strato per assicurare una maggiore uniformità di espansione, eliminando, o quantomeno riducendo esponenzialmente, il rischio di provocare il cosiddetto “effetto dogboning”, ovvero quel fenomeno per cui un pallone, gonfiato ad elevate pressioni, si espande eccessivamente alle sue estremità assumendo un aspetto ad osso di cane. Questo effetto è particolarmente deleterio perché aumenta il rischio di arrecare un insulto alla parete del vaso10, fino anche alla dissezione diffusa o alla perforazione coronarica. I palloni NC OPN coprono un ampio spettro di calibro, da 1.5 mm a 4.5 mm, presentano una pressione nominale di 10 atm e possono raggiungere le 35 atm, al contrario dei palloni NC standard che raggiungono al massimo le 24 atm.

Indicazioni cliniche

Originariamente questa tecnologia era stata sviluppata per rimpiazzare i “cutting” e gli “scoring balloon” nella preparazione delle lesioni severamente calcifiche. Attualmente, oltre a questa specifica indicazione, i palloni NC OPN prevedono un più ampio utilizzo, che spazia dalle lesioni non dilatabili con i palloni NC standard11,12, al trattamento delle occlusioni coronariche croniche, alla post-dilatazione aggressiva degli scaffold bioriassorbibili13,14 e al trattamento delle restenosi intrastent. Numerosi studi hanno dimostrato come l’uso di questi particolari palloni NC risulti sicuro, con un basso rischio di complicanze quali dissezioni, perforazioni o danneggiamento delle maglie dello stent (Tabella 1).




Angioplastica mediante laser ad eccimeri

La tecnologia laser nel trattamento della malattia aterosclerotica è stata introdotta verso la fine degli anni ’80, inizialmente per il trattamento della vasculopatia periferica15. Successivamente questa tecnologia innovativa venne utilizzata anche a livello coronarico, con i primissimi casi eseguiti su graft aortocoronarici venosi16,17. Presto l’aterectomia coronarica mediante laser ad eccimeri (ELCA) iniziò a diffondersi mostrando buoni risultati e un basso profilo di rischio18,19. In particolare, nel 1994 vennero pubblicati i risultati relativi all’impiego del sistema laser in 3000 pazienti consecutivi in scenari complessi quali lesioni ostiali, lesioni lunghe e diffuse, occlusioni croniche, riportando una percentuale di successo procedurale del 90% e un tasso di complicanze ridotto, in considerazione dell’alto rischio procedurale20.

Aspetti generali e meccanismo d’azione

Questa tecnologia utilizza una miscela di gas, nello specifico cloruro di xenon, per produrre impulsi di luce ultravioletta ad alta energia e bassa lunghezza d’onda (più precisamente 308 nm, ossia nello spettro degli UVB)21 (Figura 3). In particolare, la bassa lunghezza d’onda del laser ne influenza direttamente la profondità di penetrazione, che risulterà pertanto bassa, tipicamente non in grado di superare i 30 μ, limitando di conseguenza il rischio di arrecare un danno ai tessuti circostanti21.

I cateteri coronarici ELCA sono disponibili in 4 differenti diametri (0.9, 1.4, 1.7 e 2 mm) e sono compatibili con le guide 0.014” standard; i cateteri 0.9 e 1.4 mm sono quelli preferibili in caso di utilizzo di un catetere guida 6 Fr.




L’ablazione mediante laser ad eccimeri si esplica attraverso tre meccanismi distinti: fotochimico, fototermico e fotomeccanico21. Nel dettaglio, la luce ultravioletta viene assorbita e induce una rottura dei legami tra gli atomi di carbonio (meccanismo fotochimico); inoltre viene innalzata la temperatura dell’acqua intracellulare, provocando di conseguenza rottura cellulare, e questo genera una bolla di vapore sulla punta del catetere (meccanismo fototermico); infine l’espansione e l’esplosione di queste bolle di vapore determina la disgregazione del materiale aterosclerotico intravascolare (meccanismo fotomeccanico)21. I frammenti di materiale che si vengono a generare sono nell’ordine di pochi micron, minimizzando pertanto il rischio di determinare embolizzazione distale e di conseguenza fenomeni quali “slow-flow/no-reflow”.

Indicazioni cliniche

Attualmente le indicazioni per l’utilizzo dell’angioplastica coronarica mediante laser ad eccimeri sono molteplici e comprendono le occlusioni coronariche croniche, le lesioni severamente calcifiche non dilatabili nonostante l’uso di palloni NC ad elevate pressioni, compresi i palloni NC OPN, la malattia dei graft venosi, le restenosi intrastent, le occlusioni trombotiche in corso di infarto miocardico acuto e la sotto-espansione di stent20,21.

Il primo caso descritto in letteratura di trattamento della sotto-espansione di stent mediante il sistema ELCA risale agli inizi degli anni 200022. Negli anni successivi sono stati riportati molti altri casi di sotto-espansione di stent efficacemente trattati con la tecnologia laser23-25. In particolare, il catetere ELCA, grazie ai meccanismi menzionati precedentemente, induce delle modificazioni nella placca, che favoriscono la miglior espansione dello stent impiantato, senza tuttavia provocare delle alterazioni a carico delle maglie del dispositivo.

Efficacia e sicurezza dell’angioplastica con laser

La fattibilità e la sicurezza di questa metodica nel trattamento della sotto-espansione di stent sono state confermate dal registro internazionale ELLEMENT26 nel quale sono stati inclusi 28 pazienti tra il 2009 e il 2011 con evidenza di sotto-espansione nonostante post-dilatazioni ad elevate pressioni. In questo studio l’ablazione mediante laser ad eccimeri si è dimostrata estremamente efficace, riuscendo a garantire un’adeguata espansione dello stent, confermata dall’analisi QCA e dalla valutazione mediante IVUS, in oltre il 96% dei casi, mantenendo tuttavia un tasso di complicanze ridotto26. Le complicanze che possono verificarsi nel caso di angioplastica con laser sono le stesse di una normale angioplastica percutanea (e.g: infarto miocardico periprocedurale, embolizzazione distale, dissezione e perforazione coronarica). Il rischio è però proporzionale alla gravità delle lesioni da trattare (maggiore nel caso di lesioni lunghe, di occlusioni totali o in presenza di una biforcazione)26-28. Indubbiamente, tali complicanze hanno delle ripercussioni che possono risultare drammatiche sull’outcome dei pazienti. Tuttavia, alcuni studi hanno chiaramente dimostrato come il tasso di complicanze maggiori si riduca significativamente con l’incremento dell’expertise da parte degli operatori27,28 (Tabella 1).

Litotrissia intravascolare coronarica

La tecnologia più recentemente introdotta per il trattamento delle sotto-espansioni di stent è il sistema di litotrissia intravascolare (Figura 4). È fondamentale chiarire che ad oggi si tratta di una indicazione “off-label”. Sebbene, come vedremo, esistono già diversi casi riportati in letteratura, l’uso della litotrissia intravascolare per lesioni instrastent non rientra nelle indicazioni da scheda tecnica del prodotto. Lo Shockwave (S-IVL; ShockwaveMedicalInc, Santa Clara, CA, USA) è stato sviluppato per il trattamento delle lesioni calcifiche intravascolari, sia periferiche che coronariche, per favorire la preparazione della lesione target in modo da aumentare la probabilità di successo procedurale e limitare il rischio di complicanze legate alla presenza del calcio, che, come noto, può favorire l’insorgenza di complicanze quali dissezioni o perforazioni coronariche29,30.




Aspetti generali e meccanismo d’azione

La tecnologia della litotrissia è stata sfruttata efficacemente per molti anni nel trattamento della nefrolitiasi e, negli ultimi anni, è stata traslata anche al settore cardiovascolare per fronteggiare una delle sfide più complesse in questo ambito: il calcio intravascolare. Il sistema di litotrissia intravascolare (Shockwave Medical) consiste di un generatore, un cavo di connessione e un catetere; quest’ultimo è disponibile in diversi diametri, tutti compatibili con fili guida 0.014” e con introduttori 6 o 7 Fr. Sul catetere è montato un pallone semi-compliante su cui sono integrati molteplici emettitori i quali producono delle onde sonore pulsatili che agiscono in maniera selettiva sulla componente calcifica del vaso, esercitando in tale sede una pressione effettiva fino a 50 atm; al contrario i tessuti molli sono semplicemente attraversati da queste onde sonore. Pertanto, questo sistema induce una frattura a carico della placca calcifica, modificando di conseguenza la compliance del vaso, rendendolo in tal modo più facilmente dilatabile e favorendo un’adeguata espansione dello stent. Uno studio di Ali et al.31 del 2017 ha descritto per la prima volta le modificazioni provocate dallo Shockwave sulle lesioni calcifiche. Questo studio ha documentato, attraverso l’analisi OCT, come le onde sonore prodotte dal sistema di litotrissia inducono delle alterazioni circonferenziali della placca calcifica, riducendo al minimo il rischio di complicanze vascolari quali dissezioni o perforazioni al momento della dilatazione con i palloni e dell’impianto dello stent31. Inoltre, sempre dall’analisi OCT condotta in questo studio, è stato anche evidenziato come i frammenti di calcio creati dalle onde sonore rimangano in situ, eliminando di fatto il rischio di embolizzazione distale31. Tuttavia, dal momento che le lesioni calcifiche aumentano significativamente la rigidità vascolare, le complicanze acute possono insorgere anche a seguito di una dilatazione a bassa pressione come quella esercitata dal pallone dello Shockwave32 (Tabella 1).

Evidenze scientifiche sullo Shockwave Medical

Il primo studio clinico di cui il sistema di litotrissia si è reso protagonista è il DISRUPT-CAD I, un piccolo studio che ha coinvolto 7 Centri europei e nel quale sono stati arruolati 60 pazienti con lesioni calcifiche. Questo lavoro ha mostrato risultati davvero promettenti relativamente a questa innovativa tecnologia, sia in termini di efficacia procedurale, confermata anche dalla sotto-analisi mediante OCT, che di sicurezza, con una incidenza di eventi cardiovascolari avversi maggiori di solo il 5%33-35. Al congresso TCT 2019 sono stati presentati i dati dello studio DISRUPT-CAD II. In una coorte europea di 120 pazienti, l’uso sistematico della litotrissia intravascolare in lesioni con severe calcificazioni ha permesso di confermare l’efficacia e sicurezza della metodica. L’uso sistematico della litotrissia intravascolare garantiva un’ottima apertura della placca, un ottimo impianto dello stent e buoni risultati confermati all’imaging intravascolare. Attualmente è ancora in corso lo studio DISRUPT-CAD III, che si svolge al contrario negli Stati Uniti e prevede l’arruolamento di quasi 400 pazienti, con l’obiettivo di confermare gli ottimi risultati emersi dagli studi DIRSUPT-CAD I e II. Questi tre studi dovrebbero permettere di sdoganare la litotrissia intravascolare quale metodica di riferimento nel trattamento, efficace e sicuro, delle lesioni severamente calcifiche.

Ruolo dello Shockwave nella sotto-espansione di stent

Dal momento che la litotrissia intravascolare produce delle alterazioni a carico della placca calcifica rendendo più compliante il vaso ad una successiva dilatazione, uno degli scenari clinici dove potrebbe trovare maggiormente impiego è rappresentato proprio dalla sotto-espansione dello stent. E in effetti, nonostante si tratti di una tecnologia apparsa sulla scena della cardiologia interventistica solo negli ultimissimi anni, sono numerosi i casi già riportati in letteratura di trattamento di stent sotto-espanso mediante litotrissia, con un ottimale risultato finale e senza complicanze procedurali36-39. Ovviamente, proprio per la sua brevissima storia, sono necessari ulteriori studi che ne documentino l’efficacia e la sicurezza nei differenti scenari clinici nei quali questo sistema può essere sfruttato, compresa la sotto-espansione di stent.

CONCLUSIONI

Nonostante i progressi e l’avanzamento delle tecnologie avvenute negli anni, la sotto-espansione di stent, seppur meno frequente rispetto al passato, rappresenta ancora oggi un problema di difficile gestione nella cardiologia interventistica. Il primo snodo da enfatizzare è una maggiore integrazione delle metodiche di imaging coronarico sia per prevenirla sia per identificarla. In questo scenario possono essere utili prima i sistemi di “enhanced stent visualization” (ClearStent o StentBoost)40,41 e ovviamente IVUS e OCT. Quando purtroppo lo stent è stato impianto e non si è riusciti a ottenere con la normale post-dilatazione con palloni NC un risultato ottimale, allora le armi di cui dispone l’emodinamista sono prevalentemente i palloni NC ad alta pressione, l’angioplastica mediante laser ad eccimeri e la più nuova litotrissia intravascolare coronarica. L’impiego di questi dispositivi richiede una notevole esperienza da parte degli operatori vista la complessità delle lesioni da trattare e ad oggi il numero di centri in grado di utilizzare tale tecnologia è ancora molto contenuto, nonostante siano dispositivi che si sono dimostrati sicuri ed efficaci. Sicuramente nei prossimi anni, grazie a un miglioramento delle tecnologie e alla produzione di nuovi dati scientifici, assisteremo a una loro maggiore diffusione con un netto miglioramento nel trattamento dei pazienti.

RIASSUNTO

La sotto-espansione di stent rappresenta un fattore prognostico negativo, legato al rischio di sviluppo di restenosi intrastent e trombosi di stent, ed è spesso dovuto ad un carico di calcio eccessivo a livello della lesione target. I principali dispositivi disponibili per il trattamento delle sotto-espansioni di stent sono i palloni non complianti (NC) ad altissima pressione, il laser ad eccimeri e la litotrissia intravascolare.

I palloni (NC) OPNTM (SIS Medical AG, Winterthur, Svizzera) sono in grado di raggiungere pressioni molto più elevate rispetto a quelle dei palloni NC standard (fino a 35 atm), così da vincere la resistenza data dalla placca calcifica. Il catetere laser ad eccimeri invece genera impulsi di luce ultravioletta con basso potere di penetrazione in grado di frammentare il materiale aterosclerotico circostante lo stent impiantato. Questa tecnologia si è dimostrata estremamente efficace, tuttavia richiede una notevole esperienza da parte dell’operatore per ridurre il rischio di complicanze gravi. La litotrissia intravascolare rappresenta la metodica apparsa sulla scena più recentemente e ha mostrato finora dei risultati davvero promettenti. Il dispositivo Shockwave Medical (S-IVL; Shockwave Medical Inc, Santa Clara, CA, USA) emette onde sonore che agiscono in maniera selettiva sulla componente calcifica, disgregandola e rendendo il vaso più compliante.

Parole chiave. Laser ad eccimeri; Litotrissia intravascolare; Palloni non complianti; Sotto-espansione di stent.

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