Position paper ANMCO: Ruolo della Cardiologia nella gestione dei bisogni di salute in era post-COVID-19

Adriano Murrone1, Furio Colivicchi2, Loris Roncon3, Pasquale Caldarola4, Vincenzo Amodeo5,
Stefano Urbinati6, Andrea Di Lenarda7, Serafina Valente8, Nadia Aspromonte9, Manlio Cipriani10,
Stefano Domenicucci11, Giuseppina Maura Francese12, Massimo Imazio13, Fortunato Scotto di Uccio14, Marino Scherillo15, Giuseppe Di Pasquale16, Michele Massimo Gulizia12,17, Domenico Gabrielli18

1S.C. Cardiologia-UTIC, Ospedali di Città di Castello e di Gubbio-Gualdo Tadino, AUSL Umbria 1, Perugia

2U.O.C. Cardiologia Clinica e Riabilitativa, Presidio Ospedaliero San Filippo Neri, ASL Roma 1, Roma

3U.O.C. Cardiologia, Ospedale Santa Maria della Misericordia, Rovigo

4Cardiologia-UTIC, Ospedale San Paolo, Bari

5U.O.C. Cardiologia-UTIC, Ospedale Santa Maria degli Ungheresi, Polistena (RC)

6U.O.C. Cardiologia, Ospedale Bellaria, AUSL di Bologna, Bologna

7S.C. Cardiovascolare e Medicina dello Sport, Ospedale Maggiore di Trieste, ASUI Trieste

8U.O.C. Cardiologia Clinico Chirurgica (UTIC), A.O.U. Senese, Ospedale Santa Maria alle Scotte, Siena

9U.O.S. Scompenso Cardiaco, Dipartimento di Scienze Cardiovascolari e Toraciche,
Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Roma

10Cardiologia 2-Insufficienza Cardiaca e Trapianti, Dipartimento Cardiotoracovascolare “A. De Gasperis”,
ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Milano

11Dipartimento di Cardiologia, ASL 3, Ospedale Padre A. Micone, Genova

12U.O.C. Cardiologia, Ospedale Garibaldi-Nesima, Azienda di Rilievo Nazionale e Alta Specializzazione “Garibaldi”, Catania

13Cardiologia, Presidio Molinette, A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino, Torino

14Cardiologia-UTIC-Emodinamica, Ospedale del Mare, Napoli

15Cardiologia Interventistica e UTIC, A.O. San Pio, Presidio Ospedaliero Gaetano Rummo, Benevento

16Editor, Giornale Italiano di Cardiologia

17Presidente Fondazione per il Tuo cuore, Firenze – Heart Care Foundation Onlus

18U.O. Cardiologia, ASUR Marche, Area Vasta 4 Fermo, Ospedale Civile Augusto Murri, Fermo

INTRODUZIONE

Nel dicembre 2019, un nuovo coronavirus pandemico è apparso nella provincia di Wuhan, in Cina. Da lì l’epidemia ha cominciato a diffondersi nel resto della Cina, poi in Asia e in tutto il mondo.

Al 24 maggio 2020, i casi confermati nel mondo sono 5 371 700 e i decessi 344 8151, 32 785 in Italia2 contro 4645 registrati in Cina e 243 in Corea del Sud. La situazione è apparsa particolarmente grave nel Nord Italia e, più recentemente, anche nel Regno Unito (36 793 morti), Francia (28 367 morti), Spagna (28 752 morti) e soprattutto negli Stati Uniti (97 720 morti)1. L’Italia, al 22 maggio 2020, ha registrato 27 101 operatori sanitari infetti3 e 163 medici morti4.

Tale pandemia ha trovato impreparati i sistemi sanitari nazionali, compreso quello italiano, determinando gravi conseguenze di carattere assistenziale ed organizzativo fino quasi al collasso del sistema stesso. Come ovvia conseguenza, tutte le attività specialistiche hanno visto una completa rimodulazione dell’attività elettiva e di urgenza.

Durante la pandemia da SARS-CoV-2 si è assistito ad una riduzione di circa il 30-40% dei ricoveri per sindrome coronarica acuta e per scompenso cardiaco, patologie che rappresentano, da sole, la gran parte dei ricoveri cardiologici, con un aumento di oltre 3 volte della mortalità per infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST5,6. È stato inoltre segnalato un significativo incremento, nello stesso periodo, degli arresti cardiaci extraospedalieri, fenomeno per il quale possono essere avanzate diverse spiegazioni7.

Non sono completamente note, il futuro prossimo potrà fornirci delle risposte chiare, quali siano le motivazioni alla base di tale fenomeno ma è possibile che potremmo dover far fronte a una “ondata” di pazienti con patologia cardiovascolare subacuta che, per scelta o per motivazioni ancora non chiare, non sia stata ricoverata durante la pandemia. In conseguenza del drammatico peso epidemiologico del COVID-19 molti reparti, non solo cardiologici, sono stati parzialmente o completamente riconvertiti alla cura delle complicanze da SARS-CoV-2 mentre l’attività ambulatoriale è stata drasticamente ridotta al fine di limitare gli accessi nelle strutture sanitarie e dedicare personale sanitario ai reparti COVID-19.

Durante la pandemia COVID-19 solo il 14% delle unità di cardiologia riabilitativa ha proseguito l’attività di routine, a fronte del 25% che ha interrotto completamente l’attività ed il 61% che ha ridotto i programmi8. Analogamente, la maggioranza dei centri di cardiochirurgia ha sospeso, durante l’emergenza COVID-19, l’attività elettiva, privilegiando le sole emergenze/urgenze. Sarà pertanto necessario rivalutare il livello di priorità dei pazienti in lista non operati. In presenza di criticità di posti letto di terapia intensiva potrà essere valutato in Heart Team un possibile allargamento delle indicazioni alle procedure valvolari transcatetere9.

In considerazione del peso della pandemia sulle strutture sanitarie italiane, alla fase 2 nazionale di parziale ripresa delle attività, deve necessariamente essere associata anche una fase 2 sanitaria con programmazione della ripresa graduale delle attività ambulatoriali e di ricovero.

ATTIVITÀ AMBULATORIALE CARDIOLOGICA

Obiettivi a breve termine: la riprogrammazione delle attività ambulatoriali sospese

Il peso della pandemia sugli operatori sanitari

In tutte le regioni è stata sospesa l’attività ambulatoriale programmata, in particolare le visite/prestazioni procrastinabili. Verosimile, quindi, che buona parte di tale attività debba essere recuperata. Sono però necessarie, al riguardo, alcune considerazioni: a fronte di una riduzione dell’attività di molte strutture, una parte dei cardiologi è stata impegnata in attività correlate alla pandemia, le ferie degli operatori sanitari, secondo quanto disposto dai DPCM, sono state sospese da mesi e sono ancora sospese, il peso psicologico di una situazione complessa con rischio di infezione per gli operatori sanitari (in proporzione i più colpiti) è stato certamente elevato, la vita familiare degli operatori stessi è stata certamente rivoluzionata con necessità di “isolamenti” domiciliari volontari nel timore di infettare familiari. Per tali motivi risulta difficile poter chiedere agli operatori sanitari, in fase di ripresa, un ulteriore sacrificio, oltre quanto dovuto, al fine di recuperare numerose prestazioni inevase.

Riprogrammazione del “passo” CUP e revisione delle liste d’attesa

Per necessità di distanziamento sociale anche nelle sale d’attesa, di procedure di sanificazione degli ambienti e disinfezione delle strumentazioni/suppellettili sarà necessario rivedere il “passo” di prenotazione dei tempi CUP, cosa che inevitabilmente ridurrà il numero di prestazioni erogabili rispetto al periodo pre-COVID-19. Una proposta ragionevole è di aumentare il “passo” delle prenotazioni per visite/prestazioni di almeno 20-25 min rispetto a quanto normalmente programmato con bilanciamento quantitativo delle attività ambulatoriali tra mattina e pomeriggio. Estrema importanza è da attribuire a una revisione delle liste d’attesa “sospese”. La collaborazione dei medici di medicina generale (MMG), al riguardo, può rappresentare una risorsa fondamentale per validare, cambiare o annullare le richieste eseguite durante il “lockdown”, tenendo conto che la variazione di una richiesta medica non può che essere effettuata dallo stesso prescrittore, eventualmente con il supporto dello specialista.

Visite/prestazioni RAO U e B

Nella maggior parte delle regioni non sono state sospese e quindi l’attività di riavvio non dovrebbe interessare questa categoria di prestazioni. Deve essere prestata particolare attenzione all’appropriatezza delle richieste e della loro congruità con la classe di priorità.

RAO D, P e controlli/follow-up

La ripresa dell’attività ambulatoriale sarà necessariamente graduale, con priorità di recupero delle prestazioni sospese riferita a quelle con minor tempo d’attesa previsto (RAO D), oltre al consistente aiuto che potrà essere fornito dall’attivazione di servizi di telemedicina (da quelli più semplici a quelli tecnologicamente complessi e sofisticati), anche se laddove non siano ancora attivati sembra improbabile che, a breve scadenza, possano essere efficacemente allestiti al fine di ridurre il carico del recupero delle prestazioni non effettuate. Auspicabile, invece, un piano strutturato di follow-up telefonico che avrebbe il duplice vantaggio di cogliere precocemente eventuali instabilizzazioni e di programmare le visite di controllo sulla base dello stato clinico e non di intervalli di tempo predeterminati, con positiva ricaduta sul numero delle prestazioni da erogare. Per poter soddisfare l’elevata richiesta dei pazienti in lista d’attesa, questo tipo di attività può prevedere la collaborazione attiva del personale dell’ambulatorio infermieristico sulla base di un’intervista strutturata, l’inserimento delle informazioni in cartella clinica e la necessaria condivisione del caso e l’eventuale riprogrammazione del controllo in accordo con il medico di riferimento. La collaborazione del personale infermieristico è anche necessaria per la compilazione del questionario “COVID-oriented” che in molte realtà nazionali viene compilato telefonicamente nei giorni immediatamente precedenti la prestazione.

Piani terapeutici

Ipotizzabile, inoltre, per alcune prestazioni, una programmazione telematica. Ad esempio, per il rinnovo dei piani terapeutici è proponibile che il MMG compili un modulo analogo a quello previsto dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) per il rinnovo del piano stesso che, unitamente a un’anamnesi mirata e agli esami ematochimici necessari, possa essere inviato al cardiologo di riferimento per il rinnovo del piano. In alternativa, sarebbe ragionevole aprire anche ai MMG la possibilità di rinnovo dei piani stessi. Tale proposta deve ovviamente tenere in considerazione le posizioni di Regioni e AIFA.

Sorveglianza della terapia anticoagulante orale

Presso molte Cardiologie viene svolta un’intensa attività di sorveglianza della terapia anticoagulante orale. Allo scopo di ridurre gli accessi in ospedale per i controlli laboratoristici della coagulazione, è da prendere in considerazione per i pazienti con fibrillazione atriale e tromboembolismo venoso in terapia con antagonisti della vitamina K, lo switch agli anticoagulanti orali diretti se non controindicati. Per i pazienti per i quali è indicata la terapia con antagonisti della vitamina K è da incoraggiare l’uso dei coagulometri portatili con automisurazione dell’international normalized ratio.

Controllo dei pazienti portatori di dispositivi impiantabili (pacemaker, defibrillatore, loop recorder)

Dovrebbe essere colta l’occasione della pandemia COVID-19 per implementare il monitoraggio remoto dei pazienti portatori di pacemaker, defibrillatore e loop recorder che in alcune realtà è ancora sottoutilizzato, prevalentemente per problematiche di rimborso tariffario e di legislazione sulla privacy.

Riprogrammazione/riapertura stadiata delle attività cardiologiche ambulatoriali

Fatte salve le direttive regionali e aziendali, sarà verosimilmente necessario stabilire delle priorità di riprogrammazione dell’attività ambulatoriale. Come criterio generale si dovrebbe seguire il criterio temporale della precedente prenotazione, a partire dai RAO con minor tempo d’attesa previsto (verosimilmente, nella maggior parte dei casi, RAO D), mentre per eventuali instabilizzazioni non si potrà che far ricorso a eventuale variazione della classe RAO da parte del MMG.

Il distanziamento sociale negli ambulatori cardiologici e numero delle prestazioni

Il tema del distanziamento sociale negli ambulatori sarà oggetto, verosimilmente, di disposizioni aziendali e regionali che tengano conto delle peculiarità organizzative e strutturali locali. Un tema importante, anche se molto contrastato, potrebbe essere quello dei “tempari” nazionali per singola prestazione che tengano conto, in questa fase, della necessità di non sovraffollare le sale d’attesa. L’applicazione di “tempari” codificati avrebbe il grande vantaggio di evitare, sia con le aziende che con i colleghi, problemi di ipotizzato sotto o sovradimensionamento numerico delle prestazioni erogate e di omogeneizzazione dell’offerta rispetto all’organico in dotazione. Una volta per tutte sarebbe possibile stabilire cosa sia possibile fare rispetto a quanto si ha.

Un’ipotesi operativa già attiva in alcune realtà è la definizione di un numero massimo di assistiti all’interno della struttura (generalmente un terzo della capienza della sala d’attesa per garantire il distanziamento sociale) e la presenza di un “filtro accoglienza” gestito dal personale infermieristico che, oltre a monitorare il numero dei passaggi, è deputato alla conferma ed alla firma delle risposte del questionario “COVID-oriented” che deve essere sottoscritto dal paziente prima di entrare nella struttura ed alla verifica delle disposizioni di sicurezza previste (disinfezione, mascherina, ecc.).

Fare di necessità virtù: è il momento dell’appropriatezza prescrittiva

Il momento è particolarmente delicato, ciò che può essere programmato in fase di emergenza potrebbe diventare un’organizzazione virtuosa da mantenere nel tempo. Il tema dell’appropriatezza prescrittiva, rivolta a tutte le categorie coinvolte, assume un’importanza ancora più determinante rispetto al passato, sia per ridurre il rischio di inutile esposizione in ambienti comunque a maggior rischio, sia per far fronte all’inevitabile riduzione numerica delle prestazioni erogabili, in ossequio alle necessarie prescrizioni di prevenzione del contagio. Semplici software, già utilizzati per studi clinici osservazionali, sono in grado di guidare l’appropriatezza di prescrizione con aggravio di tempo estremamente ridotto. Sarebbe sufficiente, al momento e come fase pilota, un software che tramite un semplice algoritmo basato sulle evidenze scientifiche sia in grado di confermare l’appropriata indicazione a ecocardiogramma e test provocativi ed ECG dinamico secondo Holter. Ha suscitato molte discussioni la possibilità di aprire le prenotazioni di prestazioni cardiologiche di II livello ai soli cardiologi. Una rivoluzione copernicana estesa a tutta la nazione e attualmente già attiva in alcune regioni, che attribuisse allo specialista la possibilità di prescrivere, dopo prima visita indicata dal MMG, ulteriori accertamenti potrebbe indurre il doppio vantaggio di una riduzione delle prestazioni erogate e della garanzia di una presa in carico del paziente, ferma restando la necessità di formazione e aggiornamento anche degli specialisti.

Sarebbe quindi importante cogliere l’opportunità, in seguito a questa emergenza sanitaria, per attuare un cambio di paradigma con il passaggio a livello nazionale dalla logica della prestazione (spesso inappropriata) a quella della presa in carico del paziente10.

L’implementazione della telemedicina

L’impatto della telemedicina sulla società e sulla salute è noto e sono ormai numerose, a livello nazionale o locale, le esperienze. Anche la Protezione Civile nell’ambito delle proprie competenze nelle catastrofi ha sviluppato modelli di telemedicina e peraltro è fortemente raccomandato il suo utilizzo dal Piano Nazionale delle Cronicità. Numerosi sono i vantaggi offerti: equità all’accesso all’assistenza (ad esempio pazienti in zone difficilmente raggiungibili), miglioramento della qualità dell’assistenza con garanzia della continuità delle cure, mantenimento e miglioramento dei parametri di efficacia, efficienza, appropriatezza, riduzione della spesa, contribuzione alla continuità delle cure e all’integrazione ospedale-territorio, riduzione della necessità di spostamento di pazienti fragili e spesso anziani. Sono numerose le modalità operative della telemedicina passando dalla telemedicina specialistica (televisita, teleconsulto, telecooperazione sanitaria), alla telesalute (soprattutto nel campo dell’assistenza primaria), alla teleassistenza rivolta alle persone anziane e fragili. L’impatto della telemedicina sull’organizzazione dei sistemi sanitari è ben definito11. In un momento in cui è ancor più necessario che l’assistenza vada dal paziente e non viceversa, che l’accesso alle strutture sanitarie sia ridotto per contrastare il rischio di contagio, che sia garantita la continuità dell’acceso alle cure, la telemedicina, attraverso varie modalità operative, è in grado di garantire un efficace ed economico mantenimento delle cure che sarebbe patrimonio inestimabile da conservare nel tempo. Un aspetto interessante e molto attuale è la possibilità che sta emergendo in alcune aree del nostro Paese che le piattaforme che permettono di monitorare i pazienti a domicilio possano essere anche utilizzate per la condivisione multidisciplinare del caso, definendo un “case manager” preferenziale, permettendo una gestione globale e condivisa delle problematiche cliniche, riducendo la ridondanza delle prestazioni ed esami e di conseguenza gli accessi alle strutture ospedaliere, tema ovviamente di grandissimo interesse ed attualità. Un approccio sindemico che consideri questi problemi non strettamente clinici può essere raggiunto attraverso l’impulso della telemedicina e della telecardiologia, intese come integrazione e non come alternativa alla gestione tradizionale12.

RISTRUTTURAZIONE DELL’ATTIVITÀ DEI REPARTI CARDIOLOGICI

Il problema dell’adeguamento strutturale alle necessità, presenti e future, di isolamento

La pandemia da SARS-CoV-2 ha posto in particolare evidenza la necessità, in molte strutture, di ricoveri precauzionali in camera singola in attesa degli opportuni accertamenti diagnostici (tampone, sierologia). Molte unità di terapia intensiva cardiologica sono attualmente strutturate in ambienti “open space” o con stanze parzialmente comunicanti tra loro o con altri ambienti. Il problema è di primaria importanza se si considera che molte patologie cardiologiche non possono attendere il risultato degli accertamenti diagnostici (almeno fino alla disponibilità di test rapidi) prima di essere ricoverate e trattate in ambiente adeguato. Sarebbe ipotizzabile, in una fase di riduzione della pressione sulle strutture sanitarie, di ridisegnare la strutturazione delle unità di terapia intensiva cardiologica con previsione di alcune stanze singole, comunque a vista o tele-sorvegliate e a pressione negativa ovvero con sistema di aerazione autonomo per ricovero di pazienti in attesa della risposta del tampone.

Il problema dei posti letto: tra necessità di isolamento precauzionale e incremento dei ricoveri cardiologici

Riteniamo urgente affrontare il problema della disponibilità dei posti letto nei reparti ospedalieri, considerato che la priorità “sicurezza” in molte strutture ha indotto all’isolamento precauzionale dei pazienti ricoverati, dimezzando, di fatto, la disponibilità dei posti letto. Essendo già percepibile un incremento significativo dei ricoveri in ambiente cardiologico si dovrà allentare, necessariamente, il rigido e giusto protocollo di sicurezza pena l’impossibilità di ricovero di patologie cardiovascolari acute. In sostanza sarà necessario mettere in conto un lieve incremento del rischio di ricovero di pazienti “infetti” in reparti non COVID se si vorrà assicurare la giusta necessità di ricovero a tutti quelli che ne avranno bisogno. Un punto cruciale sarà rappresentato dai tempi di risposta dei tamponi che dovranno necessariamente essere rapidi, pena la carenza di posti letto da “isolamento funzionale”.

Creazione di “aree grigie” a gestione multidisciplinare strutturate per livelli di intensità di cure

La necessità di mantenere nel tempo (non definibile) le cosiddette “aree grigie” pone il problema di chi debba essere la responsabilità clinico-assistenziale di questi pazienti. Poiché in area grigia possono afferire pazienti delle più diverse specialità e con condizioni cliniche estremamente variabili, dalla sola febbre al paziente con patologia acuta in urgenza/emergenza, sarebbe ragionevole prevedere, solo per questa specifica attività, un’area a gestione multispecialistica (medico d’urgenza, internista, cardiologo, pneumologo, infettivologo, nefrologo, neurologo) organizzata per intensità di cure in cui possano accedere pazienti sospetti COVID che non vengono direttamente ricoverati nei reparti in attesa degli accertamenti diagnostici. Tale organizzazione eviterebbe il ricorso ripetuto a consulenze specialistiche e metterebbe al riparo i reparti da ricoveri di pazienti che non hanno completato le indagini per escludere COVID-19. In tale area deve essere ben gestita la promiscuità di servizio eventuale fra zona COVID e non COVID per i sanitari impegnati, onde evitare rischi di propagazione del contagio.

Day hospital cardiologico

Nell’ultimo decennio in molte regioni il day hospital cardiologico è stato oggetto di ridimensionamento con un mancato riconoscimento anche economico della sua funzione. In questa fase sarebbe estremamente importante l’implementazione di questa funzione, con l’allocazione di risorse dedicate, allo scopo di ridurre i ricoveri ordinari e svolgere prestazioni complesse non eseguibili in regime di day service.

Le cardiologie COVID: necessarie, quante, cosa devono fare?

Uno dei tanti problemi che pone la pandemia è il luogo di ricovero di pazienti accertati COVID-19 con patologia cardiologica acuta. Sono stati adottati numerosi modelli organizzativi ma il trattamento efficace e sicuro, sia per i pazienti che per gli operatori sanitari, non può che avvenire in cardiologie identificate COVID su base provinciale o regionale a seconda delle diverse realtà geografiche e demografiche.

L’OCCASIONE PER UNA RISTRUTTURAZIONE DEFINITIVA DELLE ATTIVITÀ CARDIOLOGICHE
E DELLA MEDICINA DEL TERRITORIO

Se qualcosa di positivo si può trovare in un dramma che ha colpito l’intera umanità è una ristrutturazione definitiva delle attività cardiologiche che tenga conto della telemedicina, dell’appropriatezza prescrittiva e della riduzione di accessi ospedalieri di pazienti che potrebbero essere gestiti o trattati sul territorio. Il cambiamento spesso segue grandi drammi. Non lasciamoci sfuggire l’occasione.

Punto focale rimane non lasciarsi fuorviare dall’idea che delle Unità Operative di Cardiologia, così come strutturate, si possa fare a meno “approfittando” dell’era COVID-19; la Cardiologia come branca specialistica primaria che risponde a bisogni di salute complessi degli utenti, non è sostituibile con prestazioni di mero “servizio” e consulenza12.

La qualità delle cure, da cui discende inevitabilmente la bontà degli outcome, necessita di medici e altro personale sanitario formato e competente e non facilmente sostituibile; ovviamente questa pandemia ci sta insegnando che i modelli assistenziali possono essere modificati e che, soprattutto, debbono essere agili e aperti all’innovazione. Da questo punto di vista la Cardiologia ha sempre dimostrato di essere un passo avanti rispetto ai tempi e sicuramente sarà, anche questa volta, in grado di raccogliere la sfida. L’integrazione ospedale-territorio, argomento dibattuto da anni, è questione cruciale. Non si può attendere oltre, è arrivato il momento per decidere un potenziamento delle attività del territorio in modo tale che l’integrazione con l’ospedale non rimanga solo uno spunto di discussione congressuale.

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