CORRISPONDENZA
LA PREVENZIONE CON STENTING DELL’INSUFFICIENZA RENALE PROGRESSIVA
NEL PAZIENTE CON STENOSI ARTERIOSA RENALE ATEROSCLEROTICA: UN PROBLEMA ANCORA IRRISOLTO
A margine dell’interessante dibattito tra Zanazzi1 e Castriota2 si potrebbe argomentare che non esistono attualmente evidenze clinico-sperimentali forti a favore di un uso routinario dello stenting quale terapia nefroprotettiva per la stenosi arteriosa renale (SAR). Infatti non è stata ancora documentata per questa tecnica una superiorità rispetto alla terapia esclusivamente farmacologica – con inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) o sartani coadiuvati da statine e antiaggreganti piastrinici – rispetto agli obiettivi a) di ridurre la pressione arteriosa efficacemente in soggetti riconosciuti portatori di SAR e b) di prevenire l’insorgenza o di bloccare la progressione dell’insufficienza renale cronica (IRC), riscontrata nei portatori di SAR quale conseguenza della nefropatia ischemica del rene servito dall’arteria renale stenotica cui si somma la nefroangiosclerosi ipertensiva del rene controlaterale 3,4. In breve, il razionale dello stenting della SAR consisterebbe nella possibilità per questa via di sopprimere l’iper­attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS), responsabile di ipertensione arteriosa, sovraccarico emodinamico cardiaco e deterioramento nefroangiosclerotico del rene controlaterale3; tuttavia, l’utilità dello stenting viene negata dai fautori della sola terapia medica, giacché esistono ben due classi di farmaci (ACE-inibitori e sartani) capaci di conseguire l’inibizione del RAAS in modo incruento e altrettanto, se non più, efficacemente5. Nei vari studi finora attuati, sia trial randomizzati che osservazionali retrospettivi, non sono emerse differenze significative confrontando l’outcome dei pazienti sottoposti a terapia endovascolare con quello dei pazienti trattati con sola terapia medica: stupisce soprattutto la mancanza di effetto protettivo nei confronti dell’IRC correlata a SAR5,6, giacché in circa il 20% dei pazienti con SAR e funzione renale basalmente menomata trattati con stenting questo tipo di terapia non avrebbe impedito lo svilupparsi di peggioramento progressivo della creatininemia e in un altro 50% non avrebbe sortito alcuna modifica dei suoi preesistenti valori6. Questo potrebbe bastare ad asseverare che il presunto effetto nefroprotettivo dello stenting per la SAR dei pazienti anziani – spesso anche interessati da cardiopatia ischemica o ipertensiva o da scompenso cardiaco cronico (SCC) di varia eziologia – è ancora lungi dall’essere dimostrato, diversamente dall’efficacia riconosciuta a questo stesso trattamento nei pazienti giovani o di mezza età con ipertensione renovascolare. Tuttavia, usando un’interpretazione alternativa, si potrebbe argomentare che l’inibizione del RAAS si realizza altrettanto bene con ambedue le strategie terapeutiche, e che quindi l’impatto relativamente deludente di ambedue gli approcci su alcuni importanti endpoint o variabili di outcome (peggioramento della classe funzionale NYHA, sviluppo o peggioramento di IRC), non è da ascriversi a mancato freno sull’angiotensina II secreta in eccesso. Piuttosto, sarebbe lecito dedurre che, in determinate condizioni (pazienti con SCC e riduzione del volume plasmatico circolante effettivo, pazienti con SAR bilaterale, pazienti con ipertensione arteriosa essenziale di vecchia data in cui la SAR aterosclerotica è presumibilmente causata o propiziata dall’ipertensione piuttosto che essere la causa dell’ipertensione), il completo blocco farmacologico della dismissione di angiotensina II è a questo punto poco utile o addirittura controproducente. In particolare, nell’evenienza, fortunatamente infrequente, di una SAR bilaterale, la strategia farmacologica con ACE-inibitori o sartani è giudicata pericolosa – in quanto in grado di precipitare l’IRC –, mentre avrebbe ancora un razionale il tentativo di dilatazione meccanica. Forse sarebbe appropriato sottolineare anche che l’effetto nefroprotettivo di ACE-inibitori e sartani si esercita in tutti i casi in cui occorra ridurre la pressione intracapillare glomerulare elevata (diabete mellito, ipertensione arteriosa, ecc.); invece il razionale per il loro impiego nello SCC in fase avanzata risiede nella loro proprietà di abbassare il carico di lavoro del cuore insufficiente per alleggerimento del pre- e post­carico, ma non certo in un effetto di protezione renale quando, come nel caso del rene da stasi di scompenso destro o biventricolare, la portata plasmatica renale sia bassa – giacché questi farmaci riducono il filtrato glomerulare favorendo la redistribuzione o escape del sangue verso l’arteriola efferente del nefrone piuttosto che contrastare il tubulo-glomerular feed­back: ecco perché ne viene raccomandato un impiego prudente e a dosi ridotte negli scompensati cardiaci sodio- o volume-depleti7,8. Dunque, se non è dimostrato l’effetto nefroprotettivo dello stenting della SAR, specie nei pazienti con nefroangiosclerosi diffusamente coinvolgente il letto vascolare renale post-stenotico abbinata a nefroangiosclerosi avanzata del rene controlaterale, è anche vero che l’uso dei farmaci soppressori del RAAS non è indicato nei pazienti con SCC assoggettati a terapia diuretica intensiva ed a rischio di insufficienza renale acuta su base ipovolemica (sodio e volume-depleti). Quando poi da parte di Zanazzi1 viene enfatizzato che “dall’inizio degli anni ’90 l’incidenza di insufficienza renale terminale è aumentata di circa il 40% per decennio ...” sarebbe stato opportuno rimarcare anche che il contributo casistico a tale fenomeno, derivante dai pazienti con SCC che si ammalano di IRC e pervengono al suo stadio terminale, è principalmente legato ad un miglioramento, intervenuto negli ultimi lustri, della gestione terapeutica dell’infarto miocardico e dello SCC, con rarefazione dei casi di morte improvvisa aritmica grazie all’introduzione routinaria in terapia dei betabloccanti e all’uso del cardioverter-defibrillatore impiantabile: ne è derivato in media un prolungamento dell’attesa di vita ed un incremento dei casi di SCC con declino progressivo delle funzioni cardiaca e renale (sindrome cardiorenale) esitante nell’IRC terminale. In misura assolutamente marginale, a tale fenomeno potrebbero concorrere errori di gestione terapeutica (impiego inappropriato di farmaci potenzialmente nefrotossici, esposizione a dosi nefrotossiche di radiocontrasto durante procedure diagnostiche radiologiche o interventistiche endovascolari, ecc.).


Renato De Vecchis1, Antonio Ciccarelli2,
Carmelina Ariano
2 
1Servizio di Cardiologia, Presidio Sanitario Intermedio
“Elena d’Aosta”, Napoli
2Servizio di Neuroriabilitazione, Clinica “S. Maria del Pozzo”, Somma Vesuviana (NA)
bibliografia
1. Zanazzi M. Stenting dell’arteria renale nell’insufficienza renale cronica: un’opportunità poco sfruttata? Doverosa la cautela nel raccomandare lo stenting nella stenosi dell’arteria renale. G Ital Cardiol 2010;11:688-92.
2. Castriota F, Censi S, Liso A, Barbieri A, Baldelli M, Cremonesi A. Stenting dell’arteria renale nell’insufficienza renale cronica: un’opportunità poco sfruttata? La necessaria prudenza non esclude lo stenting nei pazienti con stenosi dell’arteria renale se oculatamente selezionati. G Ital Cardiol 2010;11:693-8.
3. Cooper CJ, Murphy TP. Is renal artery stenting the correct treatment of renal artery stenosis? The case for renal artery stenting for treatment of renal artery stenosis. Circulation 2007;115:263-9. 
4. Schoenberg SO, Bock M, Kallinowski F, Just A. Correlation of hemodynamic impact and morphologic degree of renal artery stenosis in a canine model. J Am Soc Nephrol 2000;11:2190-8.
5. Dworkin LD, Jamerson KA. Is renal artery stenting the correct treatment of renal artery stenosis? Case against angioplasty and stenting of atherosclerotic renal artery stenosis. Circulation 2007; 115:271-6.
6. Textor SC. Ischemic nephropathy: where are we now? J Am Soc Nephrol 2004;15: 1974-82.
7. Knight EL, Glynn RJ, McIntyre KM, Mogun H, Avorn J. Predictors of decreased renal function in patients with heart failure during angiotensin-converting enzyme inhibitor therapy: results from the studies of left ventricular dysfunction (SOLVD). Am Heart J 1999; 138(5 Pt 1):849-55.
8. MacFadyen RJ, Ng Kam Chuen MJ, Davis RC. Loop diuretic therapy in left ventricular systolic dysfunction: has familiarity bred contempt for a critical but potentially nephrotoxic cardio renal therapy? Eur J Heart Fail 2010;12:649-52.
IL CUORE NELLA CITTÀ: LA NUOVA SEMEIOTICA
CON LO STETOSCOPIO ULTRASONORO
Da qualche anno l’industria degli ultrasuoni ha costruito ecocardiografi portatili (hand-held), di dimensioni e costi ridotti, disponibili per un crescente numero di operatori, all’interno ed al di fuori delle strutture ospedaliere. L’estrema miniaturizzazione è evoluta alla fine nella costruzione di un apparecchio ultrasonoro grande quanto un telefono cellulare e quindi tascabile (pocket size imaging device), capace di ottenere in tempo reale brevi video clip bidimensionali (con possibilità di misure lineari ma non volumetriche) e di flussi ematici in codice di colore (senza Doppler pulsato e continuo), di conservarle in memoria (formati generici), di richiamarle se necessario e trasferirle a PC o USB tramite una unità di supporto. Si tratta, insomma, di un vero e proprio stetoscopio ultrasonoro, utile per affiancare ed arricchire l’esame clinico tradizionale del paziente, con un potere diagnostico aggiuntivo superiore di più del 30% rispetto al classico esame obiettivo cardiologico e, quando utilizzato da operatori esperti, con una buona accuratezza diagnostica nei confronti dell’imaging ottenibile con ecocardiografi standard 1. La European Association of Echocardiography sconsiglia di classificare tale strumentazione nel novero degli ecocardiografi e ne incoraggia, invece, l’uso come supporto e completamento dell’esame fisico del paziente2.
In quest’ottica, Domenica 26 settembre 2010, l’Università degli Studi “Federico II” di Napoli, con il patrocinio del Gruppo di Studio di Ecocardiografia della Società Italiana di Cardiologia ed in gemellaggio con la Cardiologia Universitaria di Siena, ha organizzato la terza edizione di “Il Cuore nella città” (www.ilcuorenellacitta.it), screening gratuito a Napoli in Piazza Trieste e Trento. Lo scopo dell’iniziativa è stato quello di dimostrare l’utilità dello stetoscopio ultrasonoro aggiunto all’esame fisico tradizionale nell’identificare marker precoci e subclinici di patologie cardiovascolari in un “flash” occasionale di popolazione. Le due precedenti edizioni di “Il Cuore nella città” erano state effettuate a Napoli e Siena nel 2004 (280 soggetti volontari esaminati) e nel 2007 (377 soggetti) utilizzando ecocardiografi veri e propri anche se portatili, tecnicamente abili ad eseguire tutte le analisi quantitative di tipo ecocardiografico e Doppler 3. Nella presente edizione di “Il Cuore nella città” lo screening ha coinvolto 228 individui nella sola città di Napoli. Le informazioni cliniche aggiuntive ottenute con lo stetoscopio ultrasonoro (GE Vscan, Horten, Norvegia), da parte di operatori esperti ed abituati all’uso della strumentazione, sono state precedute dalla raccolta dei dati anamnestici e dei fattori di rischio cardiovascolare noti e dall’effettuazione di un esame obiettivo cardiaco standard. La valutazione ultrasonora è stata di tipo puramente qualitativo (valutazione clear-cut), prestando attenzione a 11 item principali: frazione di eiezione visiva, ipertrofia ventricolare visiva, calcificazioni valvolari, versamento pericardico, versamento pleurico, comet tails toraciche, dilatazione ventricolare destra, dilatazione e ridotta reattività della vena cava inferiore, insufficienza mitralica, insufficienza tricuspidale, insufficienza aortica. Ai soggetti a cui venivano riscontrate anomalie è stato dato accesso gratuito al laboratorio universitario di ecocardiografia. Sul totale dei 228 individui sottoposti allo screening è stato possibile il riconoscimento di patologie subcliniche in 23 casi (10%), tutti successivamente confermati dall’esame ecocardiografico standard. Ulteriori analisi sono attualmente in corso. “Il Cuore nella città” si conferma osservatorio ultrasonoro di popolazione, peculiare nella modalità di raccolta dei dati che derivano da una casistica di tipo puramente occasionale. I dati acquisiti attestano, inoltre, le importanti peculiarità diagnostiche dello stetoscopio ultrasonoro affiancato all’esame obiettivo cardiologico, per la sua capacità di svelare patologie precoci e/o subcliniche. In relazione anche al suo basso costo, è ipotizzabile che l’uso dello stetoscopio ultrasonoro venga sempre più diffuso in affiancamento alla semeiotica tradizionale, in quanto l’opportunità di vedere “nel cuore” aumenta di per sé l’appropriatezza della visita medica e cardiologica. È ovviamente auspicabile che aspiranti utilizzatori dello stetoscopio ultrasonoro, se non avvezzi alla diagnostica con ultrasuoni, vengano addestrati con un training specifico, atto all’esecuzione delle principali sezioni ecocardiografiche e al riconoscimento distintivo della patologia dalla normalità.


Maurizio Galderisi1, Stefano Nistri2, Sergio Mondillo3, per il Gruppo di Studio di Ecocardiografia
della Società Italiana di Cardiologia 
1Università degli Studi “Federico II”, Napoli
2CMSR Veneto Medica, Altavilla Vicentina (VI)
3Università degli Studi, Siena
bibliografia
1. Galderisi M, Santoro A, Versiero M, et al. Improved cardiovascular accuracy by pocket size imaging device in non-cardiologic outpatients: the NaUSiCa (Naples Ultrasound Stethoscope in Cardiology) study. Cardiovasc Ultrasound 2010;8:51.
2. Sicari R, Galderisi M, Voigt JU, Habib G, Zamorano JL, Badano LP. The use of pocket size hand-held echocardiographic machines: a position statement of the European Association of Echocardiography. Eur J Echocardiogr 2011, in press.
3. Galderisi M, Mondillo S. Il cuore nella città. G Ital Cardiol 2008;9:69-70.