Il trattamento insulinico nel diabete mellito di tipo 1 riduce gli eventi clinici legati alla patologia microvascolare e a quella aterosclerotica. Questo accade anche nel paziente con diabete mellito di tipo 2 di recente insorgenza trattato sia con ipoglicemizzanti orali che con insulina. Diversamente, nel paziente con diabete mellito di tipo 2 già da lungo tempo, anziano o cardiopatico, la terapia con ipoglicemizzanti orali o con insulina impone particolare cautela in quanto il rapporto rischio/beneficio potrebbe essere non favorevole quando questi farmaci vengano usati con obiettivi eccessivamente aggressivi.
Nell’ultimo anno numerosi studi hanno chiaramente dimostrato come un’eccessiva riduzione dell’emoglobina glicata che esponga il paziente a rischio di ipoglicemia e di incremento ponderale comporti dei risultati neutri riguardo agli esiti clinici o addirittura un incremento paradossale degli eventi cardiovascolari (in termini di ospedalizzazione e mortalità) piuttosto che la loro riduzione. Di conseguenza il target di emoglobina glicata nei pazienti diabetici già cardiopatici andrebbe fissato a valori più elevati rispetto a soggetti non cardiopatici (probabilmente tra 7-8%).
Non sono state evidenziate significative differenze tra farmaci che riducono la resistenza all’insulina e farmaci che ne favoriscono la secrezione. L’unico farmaco che ha dimostrato un trend di riduzione degli eventi cardiovascolari è la metformina, per una probabile attivazione della proteinchinasi AMP-dipendente che ha un potente effetto cardioprotettivo contro il danno da ischemia/riperfusione. Questo dato va confermato con studi longitudinali ad hoc nel paziente cardiopatico.
Nei pazienti in terapia intensiva la somministrazione endovenosa di insulina si deve prefissare un target di glicemia <180 mg/dl (media 142 mg/dl), in quanto obiettivi più aggressivi comportano un aumento della mortalità.
Questi risultati impongono importanti riflessioni sulle modalità organizzative e gestionali dei pazienti diabetici già cardiopatici, considerato anche che l’autocontrollo della glicemia da parte del paziente non sembra comportare benefici in termini di controllo della glicemia a fronte di un aumento dell’incidenza di depressione. Al contrario, gli interventi multifattoriali (miglioramento dello stile di vita, controllo della pressione arteriosa e della dislipidemia, antiaggreganti in prevenzione secondaria) con obiettivi aggressivi riducono efficacemente gli eventi cardiovascolari e la mortalità complessiva.