L’utilizzo precoce di inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE-inibitori) nel postinfarto ha dimostrato chiaramente che la strategia di prevenzione primaria del rimodellamento produce anche chiari e precoci benefici in termini di mortalità. Va ricordato inoltre che il beneficio in termini volumetrici ventricolari sinistri è invece risultato piccolo in valori assoluti. Tali risultati tendono a suggerire che probabilmente anche altri effetti dell’ACE-inibizione, oltre a quanto dimostrabile nei confronti del rimodellamento, contribuiscono al raggiungimento dei risultati clinici e ai benefici in termini di mortalità. È emersa quindi sempre più evidente la necessità di approfondire lo studio del processo di rimodellamento, soprattutto dal punto di vista fisiopatologico. Ciò ha permesso di riconoscere a tale fenomeno, soprattutto nell’ambito del GISSI-3 Echo Substudy, una sua insita complessità e non uniformità nei diversi sottogruppi di pazienti con infarto miocardico. Nel contesto dell’infarto miocardico la comorbilità e la mortalità tendono a crescere nelle età più avanzate, e le informazioni sul rimodellamento postinfartuale negli anziani e l’effetto degli ACE-inibitori nei pazienti anziani con infarto miocardico e funzione ventricolare sinistra preservata risultano assolutamente carenti.
I pazienti postinfarto di età >/=65 anni con funzione ventricolare sinistra preservata (frazione di eiezione ecocardiografica del ventricolo sinistro >/=40%) sono stati quindi randomizzati nello studio Perindopril and Remodelling in the Elderly with Acute Myocardial Infarction (PREAMI). Mentre la mortalità totale e l’occorrenza di ospedalizzazione per scompenso cardiaco non sono state significativamente influenzate dal trattamento, è stato riscontrato un significativo effetto benefico del perindopril, utilizzato alla dose di 8 mg/die per 1 anno, sul rimodellamento ventricolare sinistro. Da tutto ciò emerge l’esigenza di contestualizzare il fenomeno del rimodellamento nelle caratteristiche delle popolazioni trattate, al fine di realizzare approcci diagnostici, prognostici e terapeutici più individualizzati, aggressivi e approfonditi anche in pazienti con infarto miocardico di piccole dimensioni e apparentemente a basso rischio.