Gli anziani rappresentano la maggioranza dei pazienti con sindromi coronariche acute. Essi presentano un rischio elevato di eventi, infatti generalmente giungono in ospedale con ritardo, vanificando il beneficio ottenibile con la riperfusione, sono spesso colpiti da un infarto esteso e complicato e presentano una mortalità a breve termine da 3 a 5 volte più alta rispetto ai più giovani. Nonostante essi costituiscano una popolazione ad elevato rischio, nella pratica clinica, paradossalmente, vengono meno frequentemente somministrati loro farmaci trombolitici, betabloccanti e aspirina e vengono sottoposti alle procedure interventistiche in misura minore rispetto ai pazienti più giovani. In questa rassegna si analizzano le ragioni di questo paradosso e, sulla base delle evidenze in letteratura, si suggeriscono delle linee di condotta.
Il rischio emorragico connesso ai farmaci trombolitici nell’anziano è la principale causa che limita l’estensione della terapia di riperfusione in questi pazienti. La valutazione della presenza nel singolo paziente di più fattori di rischio emorragico è in grado di stratificare i pazienti in differenti classi di rischio. Ciò può aiutare a somministrare il trombolitico ai pazienti anziani a minore rischio emorragico ed a soprassedere in quelli che avrebbero un rischio emorragico considerevolmente elevato, considerando in questi ultimi strategie terapeutiche alternative come l’angioplastica primaria.
Nel paziente anziano sopravvissuto ad un infarto miocardio acuto o con angina instabile, un’accurata e precoce stratificazione del rischio deve guidare l’indicazione alle procedure interventistiche. Queste ultime andranno incoraggiate nei pazienti ad alto rischio ed in cui le condizioni fisiche generali consentano di migliorare realmente la qualità di vita dell’anziano.