Negli ultimi decenni, la biopsia endomiocardica ha rappresentato un nuovo e potente strumento di indagine sulle malattie del miocardio, divenendo in particolare una metodica diagnostica insostituibile nei casi di sospetta miocardite. Ciononostante, il suo impiego clinico è tuttora oggetto di controversie in letteratura, in quanto a taluni autori appaiono limitate le ricadute sul piano operativo.
Le attuali tecniche consentono di eseguire prelievi multipli di tessuto endomiocardico dal ventricolo sinistro o destro con una bassa incidenza di complicanze periprocedurali.
In considerazione della sua invasività e della ricaduta pratica, un’attenta selezione dei pazienti da sottoporre a biopsia endomiocardica rappresenta un punto fondamentale per un corretto impiego della metodica. Oltre ad alcune particolari situazioni cliniche (follow- up post-trapianto cardiaco, sospetta malattia specifica del miocardio, ecc.), l’indicazione più frequente alla biopsia endomiocardica è rappresentata da pazienti con sindromi cliniche maggiori (scompenso cardiaco con rilevante disfunzione ventricolare sinistra di recente insorgenza, aritmie ventricolari sostenute) e sospetta miocardite. In tali casi, il problema relativo ad una corretta analisi dei campioni di tessuto non appare di semplice soluzione. Infatti, le informazioni derivabili da essi aumentano quanto più numerose sono le metodologie di indagine applicate. Per tale motivo appare indispensabile affiancare all’istologia tradizionale le tecniche immunoistochimiche, ultrastrutturali e di biologia molecolare attualmente disponibili, che consentono di aumentare l’accuratezza diagnostica della metodica.
Da un punto di vista terapeutico, la biopsia endomiocardica ha una propria valenza in un numero limitato di situazioni cliniche, risentendo in ciò delle persistenti incertezze riguardanti l’approccio terapeutico dei casi di miocardite attiva. Va tuttavia ricordato come in casi selezionati essa rappresenti una metodica utile ad un corretto inquadramento prognostico e terapeutico.