I pazienti affetti da scompenso cardiaco congestizio (SCC) sono caratterizzati da una compromissione della capacità funzionale, che presenta un’ampia variabilità interindividuale e sembra avere scarsa correlazione con il grado di disfunzione ventricolare sinistra a riposo.
La letteratura degli ultimi anni suggerisce che alterazioni periferiche, come quelle che si verificano nei muscoli scheletrici dei pazienti affetti da SCC, possono giocare un ruolo importante nella genesi dei sintomi e della limitazione funzionale in questi pazienti. Queste alterazioni correlano con il grado di intolleranza allo sforzo, espresso come consumo di ossigeno di picco (pVO2) meglio dei parametri emodinamici a riposo.
La riduzione della massa muscolare scheletrica rappresenta un altro importante fattore che contribuisce alla riduzione del pVO2 nei pazienti affetti da SCC. In un recente lavoro, infatti, è stato dimostrato che la massa muscolare totale, stimata mediante tecnica densitometrica, è un predittore significativo del pVO2 in una popolazione di pazienti ambulatoriali affetti da SCC, indipendentemente da altri parametri, quali fattori emodinamici, classe funzionale NYHA e grado di attivazione neuroendocrina. La dipendenza del pVO2 dalla massa muscolare scheletrica contribuisce anche a spiegare le differenze del grado di tolleranza allo sforzo osservate tra uomini e donne. Questa relazione, d’altro canto, risulta ovvia, poiché durante esercizio fisico il consumo di ossigeno avviene prevalentemente nei tessuti metabolicamente attivi, ovvero i muscoli scheletrici. Per lo stesso motivo, sarebbe più corretto esprimere il pVO2 solo per la massa magra invece che per il peso totale. Questa correzione potrebbe anche contribuire a migliorare il potere prognostico del pVO2 in quei gruppi di pazienti come le donne ed i pazienti con SCC lieve, in cui il valore prognostico del pVO2 risulta ancora poco chiaro.
Infine, la stretta relazione tra alterazioni muscolari scheletriche ed intolleranza allo sforzo ha suggerito la possibilità di intervenire sulle alterazioni periferiche per migliorare la capacità funzionale dei pazienti affetti da SCC. Studi recenti dimostrano che la somministrazione di ACE-inibitori e antagonisti recettoriali dell’angiotensina II sono in grado di migliorare le proprietà dei muscoli scheletrici in modelli animali e nell’uomo. Un altro importante strumento che ci permette di migliorare la tolleranza allo sforzo in questa sindrome è rappresentato dalla riabilitazione. L’esercizio fisico, infatti, consente di ottenere un miglioramento del pVO2, che si accompagna ad importanti variazioni biochimiche ed istologiche dei muscoli scheletrici.