La sindrome di Brugada è una malattia aritmogena ereditaria, a trasmissione autosomica dominante, caratterizzata da un pattern elettrocardiografico tipico (sopraslivellamento del tratto ST in V1-V3 e blocco di branca destra) e da sincope e/o morte cardiaca improvvisa in giovani maschi. Le basi genetiche della sindrome di Brugada sono state dimostrate con l’identificazione di mutazioni a carico del gene SCN5A, che codifica per i canali cardiaci del sodio, già conosciuto come responsabile della variante 3 della sindrome del QT lungo.
A tutt’oggi non è ancora disponibile un trattamento che riduca significativamente le manifestazioni della sindrome. L’unico presidio in grado di ridurre la mortalità è il defibrillatore impiantabile. Poiché l’impianto del defibrillatore è un trattamento non scevro da rischi e che peggiora la qualità di vita del paziente, l’attenzione della comunità scientifica si è focalizzata sull’identificazione dei parametri in grado di quantificare il rischio aritmico.
Diversi gruppi di studio hanno preso in considerazione numerosi parametri, ma fino ad ora non sono riusciti a dimostrarne l’utilità. Anche il ruolo della stimolazione elettrica programmata rimane controverso e le ultime indicazioni confermano un basso valore predittivo positivo (14-37%) e una buona capacità di identificare i soggetti a basso rischio (valore predittivo negativo 86-97%).
Recentemente abbiamo dimostrato, con l’analisi dei dati provenienti da 200 pazienti, come la presenza di un pattern elettrocardiografico spontaneo, in associazione a episodi sincopali in anamnesi, sia indice di maggior rischio di andare incontro ad arresto cardiaco. Pertanto i soggetti con queste caratteristiche cliniche dovrebbero essere sottoposti ad impianto preventivo di defibrillatore automatico.