Attualmente è in corso un vivace dibattito, al quale partecipano studiosi di varia formazione culturale, sulla “evidence-based medicine” (EBM). Per chiarire i termini della discussione il presente lavoro affronta il problema del significato del termine e del concetto di evidenza.
Dopo una breve storia dell’idea di evidenza dall’antichità ad oggi, viene sottolineato come il pensiero moderno abbia riconosciuto l’esistenza di due tipi di evidenza: l’evidenza razionale, sostenuta per primo da Cartesio, e quella sensibile, difesa per primo da Bacone.
Nell’epistemologia contemporanea l’idea di evidenza è stata concepita soprattutto come evidenza sensibile ed è strettamente connessa all’idea di fatto. Viene quindi analizzato il concetto di fatto scientifico e viene rilevato come, contrariamente all’opinione prevalente, nella scienza i fatti puri praticamente non esistano e come i fatti di cui parlano gli scienziati nelle loro ricerche siano sempre “fatti dipendenti da teorie”. Successivamente viene presa in esame la capacità dei fatti, cioè dei resoconti osservativi, di provare le ipotesi scientifiche. Alla luce delle più recenti riflessioni epistemologiche viene sostenuta la tesi secondo la quale i fatti non sono in grado di provare in modo certo e definitivo la verità di una teoria. Tali riflessioni portano a concludere che in medicina l’evidenza, comunque venga intesa, è sempre dipendente dal contesto teorico e operativo nel quale il ricercatore si trova ad operare.
Nell’ultima parte del lavoro vengono esaminati i presupposti epistemologici e le ambizioni dell’EBM. Questa analisi conduce a concludere che l’epistemologia sulla quale si fonda l’EBM non coglie la reale complessità della metodologia scientifica e può attenuare nel medico il benefico stimolo costituito dal dubbio.