Nello scompenso cardiaco il sistema nervoso autonomo che inizialmente viene attivato come meccanismo di compenso, facilita in senso sfavorevole la progressione della malattia e partecipa all’insorgenza di eventi anche potenzialmente letali. Questo assunto ha avuto un’importante conferma dall’efficacia dimostrata nei recenti grandi trial farmacologici dai farmaci betabloccanti e ACE-inibitori che più di altri interagiscono con il sistema adrenergico.
Se un’accentuata attivazione neurormonale ha una valenza così marcata nel decorso dello scompenso cardiaco sarebbe opportuno avere strumenti precisi e accurati per misurare tale attivazione ed identificare quei pazienti nei quali un intervento più aggressivo sull’alterata regolazione autonomica possa limitare o al meglio evitare possibili gravi eventi futuri.
In questo capitolo sono state riesaminate tutte le principali metodiche che vengono utilizzate per quantificare il grado di attivazione adrenergica e deattivazione vagale. È riconosciuto ormai in modo unanime che alcune metodiche, benché estremamente affascinanti, richiedano laboratori altamente specialistici; tuttavia anche se non avranno un vasto impatto clinico, esse rimarranno uno strumento efficace di conoscenza nelle mani dei fisiopatologi.
Le altre tecniche più semplici quali lo studio della variabilità della frequenza cardiaca (HRV) o l’analisi dei meccanismi riflessi hanno come effettore finale prevalentemente la funzionalità del nodo del seno. Questo potrebbe essere un limite rilevante perché: a) non conosciamo l’affidabilità del nodo seno-atriale come espressione del bilancio complessivo neurovegetativo; b) non conosciamo la sua sensibilità come sensore, né la linearità, né il limite della sua capacità di risposta, cioè il livello, se esiste, di attivazione adrenergica al di là del quale il sistema perde la sua capacità di risuonare; c) partiamo dall’assunto che la patologia in studio non modifichi la funzionalità del nodo del seno, dato che interpretiamo le modificazioni del suo comportamento in variabilità come espressioni di una patologia non intrinseca al nodo stesso; d) basiamo considerazioni prognostiche che riguardano prevalentemente l’elettrofisiologia ventricolare su informazioni relative all’elettrofisiologia atriale, ben sapendo che regioni diverse del cuore sono diversamente servite dal sistema neurovegetativo. Inoltre va ricordato che circa il 20% dei pazienti con scompenso cardiaco è in fibrillazione atriale cronica o ha avuto frequenti episodi di fibrillazione atriale parossistica. Tale aritmia sopraventricolare, che peraltro in questa popolazione costituisce un marker aggiuntivo di rischio di morte cardiaca, non permette una quantificazione del tono neurovegetativo, lasciando le sole catecolamine plasmatiche come stima di un eventuale ipertono adrenergico.
Nonostante tali limitazioni, lo studio del sistema neurovegetativo, sia in termini di attività riflessa che di attività tonica, ha le potenzialità per diventare anche nello scompenso cardiaco un importante strumento di ausilio al lavoro del clinico medico. Purtroppo gli strumenti commerciali che possono fornire con praticità e affidabilità i parametri di cui abbiamo bisogno non sono disponibili soprattutto per quanto riguarda lo studio dei sistemi riflessi. Anche per quanto attiene all’HRV cardiaca durante registrazione Holter di 24 ore, gli algoritmi di riconoscimento dell’onda R e i software di analisi per lo studio della variabilità dell’intervallo RR sono spesso differenti nelle varie apparecchiature. Il risultato finale di tale diversità è il calcolo di indici non omogenei che rischiano di far classificare un paziente in una categoria ad alto rischio se il medico utilizza un lettore Holter di un certo tipo e a medio-basso rischio se ne utilizza uno di un altro tipo. Affinché tali strumenti, come è stato suggerito, non rimangano “un giocattolo per i ricercatori” è probabilmente necessario che due importanti obiettivi siano perseguiti. Il primo è la pubblicazione di ulteriori studi di dimensioni adeguate che chiariscano definitivamente a) la relazione fisiopatologica fra parametri di misura del sistema neurovegetativo e mortalità improvvisa e non improvvisa, b) quali indici siano più affidabili e abbiano il migliore rapporto costo/efficacia per essere utilizzati in ambito clinico. Secondo obiettivo è una continua pressione culturale verso le case produttrici di apparecchiature elettromedicali affinché siano implementati algoritmi e sistemi di analisi adatti a fornire strumenti efficaci di valutazione del sistema autonomico nella pratica clinica.