La dissezione aortica è un evento drammatico ad evoluzione frequentemente infausta. Il quadro clinico di presentazione è descritto con chiarezza nei testi di medicina e non può essere dimenticato. Tuttavia, in alcuni casi, purtroppo non occasionali, sintomi e segni possono essere aspecifici e così sfumati da rendere l’eventuale rapida e catastrofica evoluzione successiva imprevedibile e inaspettata. La diagnosi può essere facilmente confermata o esclusa dalle moderne e sofisticate tecniche di immagine, come l’ecocardiografia transesofagea, la risonanza magnetica nucleare e la tomografia assiale computerizzata spirale, che offrono una valutazione anatomica così accurata della parete aortica da permettere la diagnosi anche di lesioni minimali, come gli ematomi intramurali o le ulcere penetranti, che sembrano precedere la vera e propria dissezione. Queste metodiche sono però complesse, costose e richiedono operatori qualificati per ottimizzare le loro potenzialità diagnostiche in termini di sensibilità e accuratezza.
Il loro impiego è indiscutibile nei pazienti con il sospetto clinico di patologia acuta dell’aorta. Ma quante volte la loro richiesta è giustificata nell’affollato e convulso ambiente di Pronto Soccorso dove centinaia di pazienti con segni e sintomi aspecifici, ma potenzialmente associabili ad una patologia aortica acuta, devono essere urgentemente valutati?
E quante volte la presentazione iniziale sfumata e aspecifica è seguita, in un intervallo di tempo variabile da ore a qualche giorno, dall’evento fatale? Il mancato riconoscimento iniziale può generare l’accusa di imperizia o essere accettato come rischio potenziale dell’atto medico, inevitabilmente condizionato dall’ambito probabilistico e impreciso in cui si muove l’approccio diagnostico?
Come può, il medico di Pronto Soccorso, produrre una relazione del proprio operare che possa costituire un documento, legalmente interpretabile, della propria correttezza metodologica e non generare fuorvianti interpretazioni di imperizia?
È troppo facile attribuire giudizi di mancato riconoscimento clinico quando si ha a disposizione una certa e “semplice” diagnosi autoptica, se non si prende in considerazione tutta la complessità della patologia e delle sue manifestazioni.
Per dare una risposta a queste domande è necessario raccogliere le esperienze dei medici e delle professionalità coinvolte in questo problema. Questo articolo ed il caso clinico presentato hanno lo scopo di stimolare la discussione ed iniziare il lavoro.