La sindrome plurimetabolica è associata ad un’aumentata morbilità e mortalità cardiovascolare. Questa patologia è determinata non solo da alterazioni metaboliche, come l’iperglicemia e la dislipidemia, ma anche da un processo proinfiammatorio cronico. Un altro elemento chiave nella fisiopatologia e nella progressione del danno vascolare presente nella sindrome metabolica è la disfunzione endoteliale. Ciò che sembra comunque legare, come denominatore comune, i vari elementi di questa sindrome è la presenza di spiccata resistenza insulinica. Le più convincenti dimostrazioni dell’esistenza di una sindrome derivano dall’applicazione dell’analisi fattoriale. Da questa sono stati identificati quattro fattori altamente correlati con la sindrome metabolica: un fattore “metabolico”, un fattore “pressorio”, un fattore “lipidico” e un fattore “obesità”. Indipendentemente dall’approccio patogenetico, appare oramai evidente che l’insieme dei vari fattori di rischio conferisce un rischio cardiovascolare maggiore rispetto a ciascun fattore di rischio considerato separatamente. Gli studi sin qui disponibili hanno evidenziato il beneficio in termini di mortalità cardiovascolare del trattamento con inibitori della 3-idrossi- 3-metilglutaril coenzima A reduttasi (statine): questo, nonostante le alterazioni lipidiche più comunemente osservate nel paziente con sindrome metabolica siano l’ipertrigliceridemia e la riduzione del colesterolo HDL. Il soggetto con la sindrome ma con normale colesterolo LDL è il paradigma del cosiddetto paziente a normale colesterolo ma ad alto rischio: anche in questo paziente è pertanto imperativo il trattamento con statine.