In questo numero




processo ai grandi trial

AVRemO un nuovo farmaco
per la cardioversione acuta
della fibrillazione atriale?
Dopo lunghi anni di crisi in cui la categoria degli antiaritmici ha visto pensionamenti (ad es. chinidina) senza turnover, negli ultimi tempi sono emersi due “aspiranti”, per così dire complementari, con notevoli ambizioni nel campo della fibrillazione atriale: il dronedarone, che in Italia è stato assunto per ora come supplente (leggi piano terapeutico) per il trattamento cronico, e l’apprendista vernakalant per la cardioversione acuta. Questa molecola nel trial AVRO ha dimostrato efficacia superiore (di 10 volte, dopo 90 min) e pari sicurezza rispetto all’amiodarone endovenoso, da cui l’interesse in un contesto di fibrillazione atriale parossistica/persistente. Due autorevoli esperti commentano il trial. Alessandro Capucci, che sottolinea la sostanziale sicurezza del vernakalant e l’opportunità del confronto con l’amiodarone, visto l’impiego prevalente che se ne fa nei Pronto Soccorso e che, di fatto, lo rende la pietra di paragone. Giuseppe Di Pasquale, d’altro canto, evidenzia potenziali criticità dell’AVRO, sostenendo che la selezione dei pazienti arruolati, alcune riserve sulla sicurezza (anche in base ai dati di altri trial sul vernakalant) ed i costi elevati della nuova molecola rappresentano motivi validi per prevederne un impiego limitato, almeno inizialmente. Basterà l’AVRO a fare assumere anche il vernakalant, e con quale contratto? Al tempo, ma soprattutto al titolare della ditta (l’AIFA), l’ardua sentenza. •




rassegne

Italians do it better
Già dal titolo della loro rassegna Domenico Corrado et al. prendono una decisa posizione sul tema internazionalmente dibattuto dell’ECG come strumento di screening in ambito medico-sportivo. E lo fanno sulla base dei dati della trentennale esperienza italiana, peculiare per l’esecuzione dell’ECG annuale, cui si è associato un trend secolare di significativa riduzione delle morti improvvise tra gli atleti. Vengono messe in evidenza quelle alterazioni elettrocardiografiche che devono fungere da “bandierine rosse” per ulteriori approfondimenti, finalizzati alla ricerca delle patologie del miocardio o dei canali ionici che più frequentemente sono responsabili dei casi di morte improvvisa, distinguendoli dai segni elettrocardiografici che esprimono invece l’adattamento del cuore d’atleta. Vengono inoltre discussi i limiti di tale approccio: una specificità relativamente bassa, il rapporto costo-efficacia variabile nei diversi sistemi sanitari, e la insoddisfacente sensibilità per lo screening della coronaropatia nelle fasce di età più avanzate, dove in presenza di fattori di rischio aterogeno viene consigliato a completamento valutativo il test ergometrico.




Solo meno merendine, o anche pillole?

L’ipercolesterolemia in età pediatrica è una problematica emergente, ma ancora largamente trascurata, delle società occidentali. Il dato americano di una prevalenza di dislipidemia intorno al 20% nella fascia 12-19 anni è allarmante. A fronte di tale dato, in questa fascia di età scarseggiano studi specifici con endpoint clinici di efficacia e sicurezza dei vari potenziali trattamenti. La rassegna di Vincenzo Capuano et al. fornisce strumenti, principalmente basati su recenti raccomandazioni dell’American Academy of Pediatrics, per tentare di rispondere a quesiti rilevanti: quando va ricercata una dislipidemia nell’età evolutiva? Come inquadrarla nosologicamente? Quando trattarla? Quale l’efficacia dello stile di vita? C’è un ruolo per i supplementi alimentari (nutraceutici)? Quando impiegare i farmaci? Un’utile guida per strategie di medicina preventiva con un potenziale grande impatto nel lungo termine. •




studio osservazionale

La difficile lunga marcia dei pacemaker pediatrici
Lo studio osservazionale di Alice Montalti et al. riguarda sempre l’età pediatrica, in relazione al gruppo tanto ristretto quanto impegnativo dei piccoli pazienti con blocco atrioventricolare congenito o acquisito che necessitano di pacemaker. Uno dei principali centri italiani di cardiologia pediatrica presenta una casistica trentennale di 27 impianti, da cui risulta, dopo un follow-up medio di quasi tre lustri, un’elevata quota (oltre il 50%) di rilevanti complicanze, specie frattura dei cateteri ed infezioni, con conseguente necessità di espianto. Il confronto tra impianti endocardici ed epicardici offre spunti per selezionare la metodica più appropriata nei diversi casi, particolarmente in base allo sviluppo somatico e alla concomitanza di indicazioni cardiochirurgiche. Il lavoro, pure di settore, presenta elementi di interesse non solo culturale per tutti i cardiologi, in considerazione del crescente numero di giovani adulti portatori di defibrillatori, in cui è prevedibile che con l’estendersi del follow-up si presenteranno analoghe problematiche.




position paper

Chi più spende meno spende ... forse
Nell’ultimo decennio nel trattamento a lungo termine della fibrillazione atriale si sono confrontate due modalità ideologicamente antitetiche: quella pacifista, che stabilisce un armistizio con la fibrillazione basato sul controllo della frequenza, e quella interventista, che mira ad eliminare il nemico aggiungendo all’armamentario tradizionale (farmacologico) quello non convenzionale, cioè l’ablazione. Se è pur vero che le due strategie possono essere viste come complementari ed esistono popolazioni ideali per l’una e per l’altra modalità, in un’ampia fascia intermedia di pazienti non è ancora chiaro se vi sia una strategia vincente, e quale sia.
Il documento dell’AIAC presentato in questo numero del Giornale spezza una lancia a favore del trattamento ablativo sulla base di una valutazione di Health Technology Assessment incentrata sulla costo-efficacia. Da questa analisi risulta che i maggiori costi della procedura
(quasi 10 000 euro, comprendendo l’ospedalizzazione) verrebbero compensati nel medio termine da un risparmio dovuto al minor ricorso a farmaci, riospedalizzazioni ed indagini di follow-up. Sulla base di una complessa valutazione basata su previsioni demografiche, epidemiologiche e di economia sanitaria, in un periodo relativamente breve (circa 5 anni) verrebbero ammortizzati gli investimenti iniziali, generando un risparmio incrementale negli anni successivi.
Correttamente gli autori elencano i potenziali limiti di questa analisi, tra cui una previsione di successo della procedura pari al 76%, non sufficientemente suffragata da evidenze cliniche di lungo periodo. Potrebbe inoltre essere oggetto di discussione il fatto che tale previsione non distingua tra fibrillazione atriale parossistica e persistente, tra idiopatica e con cardiopatia associata, tra pazienti relativamente giovani ed anziani. Inoltre nell’ambito della terapia medica che funge da confronto non viene preso in considerazione uno scenario di maggiore applicazione del controllo della frequenza, appropriato in una larga quota della popolazione in esame ed economicamente vantaggioso.
Il documento è ricchissimo di dati e stime e offre, al di là delle conclusioni, interessanti informazioni soprattutto per gli addetti ai lavori, cui non sfuggirà che attualmente il rimborso del DRG è notevolmente inferiore rispetto al costo effettivo della procedura: una premessa sfavorevole agli investimenti auspicati dall’AIAC in questo settore. •