LA DIAGNOSI IN MEDICINA
Luigi Pagliaro, Marco Bobbio, Agostino Colli
Milano: Raffaello Cortina Editore, 2011.




Questo interessante libro “
La diagnosi in Medicina” colma una lacuna formativa che non è solo culturale di una professione, ma anche sociale e antropologica, perché celebra la centralità della diagnosi come atto fondante del medico.
Il diffuso disinteresse a impiegare gran parte dei cinque sensi al letto del malato è una grave sottrazione dell’“anima” del medico, come se in questi ultimi anni avesse perso il piacere di essere un artigiano della salute, di sfidare la sua capacità logica abduttiva, indispensabile a ricercare soluzioni ai problemi clinici. Chi deve mettere ordine al disordine fisiopatologico?
Nel libro, con una lucida analisi viene approfondita la spinta che favorisce il “malcostume” di una diagnostica acritica sospinta dall’evoluzione delle conoscenze scientifiche, frutto della messa a punto di apparecchiature sofisticate di diagnostica specialistica. Nella ricerca di risposte dirette e certe, il rischio è quello di delegare e sostituire via via con strumenti tecnologici la figura del medico, storico mediatore, “esperto” della salute e custode di atti umani tra uomini. Questa incognita, che sminuisce e impoverisce una professione vecchia più di Ippocrate, potrà essere circoscritta solo se si avrà la capacità di mettere in campo una corretta comunicazione a tutti i livelli, per riaffermare la fiducia, riproporre i ruoli, orientare le scelte diagnostiche, magari partendo dall’insostituibile esame clinico come sapiente struttura sintattica fatta di notizie anamnestiche e segni obiettivi.
Gli autori con casi clinici aneddotici, di diretta osservazione o tratti dalla letteratura, incalzano, esaltano e rivalutano agli occhi del lettore l’essenza della metodologia clinica, quella che crede ancora al piacere di riflettere, di raccogliere un’anamnesi, di auscultare un cuore, di palpare e contrastare la resistenza dei muscoli addominali, di guardare negli occhi il malato per riconoscere un ittero o un pallore, di caratterizzare una febbre, di ipotizzare e intravedere ogni possibile soluzione ai più vari problemi di salute.
Oggi, risulta difficile far capire ai giovani colleghi che nessuna procedura è più interessante del malato stesso, più difficile spiegare come un fonendoscopio, una palpazione e un racconto, potrebbero valere più degli ultrasuoni o delle radiazioni diagnostiche, che producono immagini di straordinaria definizione, ma spesso dispendiose e ridondanti. Occorre sforzarsi di dare al malato reale lealtà e dignità di Uomo, perché non è certo un oggetto che necessita di una batteria disarticolata di prescrizioni diagnostiche, per di più anche pericolose. Il forte razionale che induce a ricercare quell’insostituibile dialogo tra medico e paziente è anche nella straordinaria unicità e irripetibilità del loro stesso rapporto. Ogni malattia ha una sua propria specificità, che la rende mai uguale per tutti.
Il libro, con una razionale sequenza di capitoli da un passato ancora vivo fino ad un difficile presente, con fluida e lucida praticità, ma efficace leggerezza formativa, fotografa questo diffuso cambiamento della metodologia clinica in corsia. Fare bene una diagnosi è un processo naturale che aiuta anche a comprendere non solo la dimensione organica oggettiva del malato, ma anche la sua affettività più profonda che, sotto la lente dell’esperienza clinica, potrebbe condizionare le scelte che altrimenti sfuggirebbero ad ogni genere di evidenza e linea guida.
La lettura invita alla riflessione con numerosi spunti pratici e teorici. Tra le pagine con efficace incalzare viene catturata la curiosità del lettore, viene sottolineato il richiamo al paradosso del progresso scientifico, che ha permesso di delegare negli anni alla tecnologia la soluzione di molti problemi, promuovendo un cambiamento radicale del lavoro del medico. La povertà del ragionamento diagnostico è il peccato originale che indebolisce le conoscenze cliniche e indirizza verso una strada senza ritorno, un’ineluttabile deriva che stravolge quell’antica logica frutto di conoscenze, pensiero, azione e perché no, immaginazione e creatività, perché la medicina, sia nella sua componente biomedica che umana, rimane pur sempre un’arte. Fare una diagnosi rappresenta un punto di partenza di un lungo percorso clinico: è uno dei compiti più importanti di un medico responsabile, è espressione di un’elaborazione mentale fine, articolata ed esperienziale. Senza un’accurata diagnosi la terapia rimane empirica, priva di basi epistemologiche, di conseguenza mal valutabile. Forse dovremmo continuare a imparare dai vecchi Maestri, che ci hanno lasciato delle descrizioni veramente “scultoree” dei loro malati ai quali, oltre agli aspetti più propriamente semeiologici, sapevano rilevare con profondo intuito il lato per così dire “estetico”, come la facies e quell’insieme di caratteri esteriori più facili a riconoscere, che a descrivere. Per questo il libro aiuta a non dimenticare il passato, oggi parla ai medici e al personale infermieristico, ciascuno per le proprie competenze, incoraggia al recupero delle riflessioni cliniche e delle ipotesi, le sole capaci di guidare la migliore sintesi conclusiva e trasmettere al malato le scelte più appropriate e condivise.
La diagnosi medica qui raccontata è il frutto di un vissuto antropologico filosofico, di ampia condivisione, di unica vocazione, di necessaria empatia, di indispensabile comunicazione, di irrinunciabile ragionamento clinico: condizioni quanto mai oggi disperatamente necessarie, anche per limitare gli errori e i crescenti e avvilenti contenziosi medico-legali. Come affermava Cesare Frugoni: “tutto deve partire dal malato e al malato ritornare”.

Francesco Maria Bovenzi 
U.O. di Cardiologia
Ospedale Campo di Marte, Lucca